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Nashville Skyline, il disco country inciso da Bob Dylan mentre il mondo cambiava

Nella storia degli Stati Uniti il 1969 non è stato un anno come gli altri: l’uomo arriva per la prima volta sulla Luna; le scorie degli assassinii di Martin Luther King e Robert Kennedy (entrambi avvenuti l’anno precedente) e la guerra del Vietnam ancora in corso stavano lacerando dall’interno il Paese fomentando veementi moti di protesta; in tutto ciò, la strage di Cielo Drive attuata dagli adepti di Charles Manson nell’Agosto di quell’anno avrebbe messo la definitiva parola fine sul sogno di pace e amore del movimento hippy. I musicisti, dal canto loro, contribuirono a quella che è passata alla storia come una delle migliori annate della storia rock, pubblicando alcuni tra i dischi più rappresentativi degli interi anni ’60 e non solo, ovviamente.

In questo turbinio di eventi e sconvolgimenti storici c’era Bob Dylan, apparentemente disinteressato a tutto ciò che gli succedeva intorno (per dirne una: non prese volutamente parte al Festival di Woodstock, prendendo le distanze dalla controcultura dell’epoca). Dylan aveva una carriera già consolidata con ben otto album alle spalle, era diventato un padre di famiglia e se c’era una cosa che non avrebbe mai voluto fare, in quel preciso momento, era rimettersi nuovamente in gioco. Le pressioni dall’esterno però erano forti, così Dylan rispose a suo modo incidendo un album che nelle intenzioni avrebbe dovuto allontanare il pubblico anziché conquistarlo, un album che avrebbe dovuto rinnegare tutto ciò che Dylan era stato fino a quel momento.

Nashville Skyline fa questo: Dylan sorride in copertina imbracciando la sua chitarra (cosa non così comune, vederlo sorridere) e partorisce dieci tracce di country (una vera novità per Dylan) a tratti melenso (tra cui il meraviglioso singolo Lay, Lady, Lay, originariamente scritto per la colonna sonora di “Un uomo da marciapiede” di John Schlesinger ma poi rimastone fuori) che poco avevano a che fare con le tensioni del resto del mondo; Dylan cambia persino il suo approccio vocale, accantonando per larga parte quella nasale che lo aveva caratterizzato fino a quel momento in favore di un’impostazione più profonda e piena. Insomma, segnali di rottura chiari ed evidenti.

Il duetto con l’amico Johnny Cash nella Girl From The North Country (brano ripreso da “The Freewheelin’ Bob Dylan” del ’63 e registrato nuovamente in compagnia di Cash, che si trovava nello stesso studio di Dylan proprio mentre questi dava vita a “Nashville Skyline”) posta in apertura del disco è emblematico della direzione scelta da Dylan, così come la strumentale Nashville Skyline Rag, dimostrazioni concrete di come il songwriter di Duluth fosse entrato in studio più per compiacere la casa discografica, interrompere il proprio silenzio e riprendere confidenza con lo studio di registrazione che per dare sfogo a una reale e concreta verve artistica.

Nonostante ciò, il nome di Dylan era già talmente enorme e consolidato da garantirgli comunque i consueti e auspicati (dalla Columbia) “buoni numeri”: il pubblicò lo premiò, facendo (ancora oggi) di “Nashville Skyline” uno dei suoi lavori più apprezzati, mentre la critica dell’epoca non ne accettò e comprese appieno la svolta e l’ennesimo allontanamento da quel folk cui aveva prima dato e poi strappato via l’anima, ulteriore testimonianza discografica di un artista − ma prima di tutto di un uomo − poco avvezzo a cavalcare le onde, quanto piuttosto a essere la scogliera contro la quale esse s’infrangono.

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