Home RETROSPETTIVE Oltre il punk, più punk che mai: i Clash e il passo...

Oltre il punk, più punk che mai: i Clash e il passo in avanti di London Calling

Quando nell’inverno del ’79 i Clash davano alle stampe il loro terzo lavoro in studio, la conservatrice Margaret Thatcher aveva da pochi mesi preso in mano le redini del Regno Unito, insediandosi al numero 10 di Downing Street e dando inizio a una lunga reggenza da Primo Ministro che avrebbe segnato in modo indelebile la storia inglese e, per quel che qui ci riguarda, quella del rock made in UK. London Calling nasceva in un clima del genere, ed è tristemente ironico ritrovarsi qui a parlarne adesso che il Regno Unito ha seriamente iniziato a fare i conti con le conseguenze della Brexit, arrivata con un vero e proprio plebiscito su iniziativa di un altro conservatore come la Thatcher (con tutti i distinguo del caso), Boris Johnson, che ha guidato l’uscita del suo glorioso Paese dal sogno europeo, in un periodo tra i più bui e problematici della recente storia inglese.

I primi due album dei Clash, l’omonimo del ’77 e “Give ‘Em Enough Rope” del ’78, avevano coltivato gli ultimi semi dei Sex Pistols e del punk, rimanendo fortemente ancorati alla realtà inglese. Gli Stati Uniti, però, s’erano sempre rivelati ostici per il punk inglese, poi i Sex Pistols s’erano sciolti, Sid Vicious era morto e più in generale il punk stava iniziando a guardare agli ’80 aggiungendo il significativo prefisso “post”. Per andare avanti, insomma, occorreva adattarsi a ciò che stava accadendo e i Clash scelsero con “London Calling” di assumersi tutti i rischi del caso: di deludere larga fetta del proprio seguito mettendo quasi totalmente da parte il concetto musicale del punk originario, di farsi dare dei venduti o peggio ancora dei conservatori, di snaturarsi, di fare ancora una volta flop dall’altro lato dell’Oceano, come tutti quelli della loro generazione.

Del punk per come i Clash stessi l’avevano cavalcato, in “London Calling” rimane poca cosa: Joe Strummer e i suoi rinunciano a essere musicisti strampalati − ammesso che lo fossero mai stati − e mettono a punto una formula che gli rende la giustizia che meritano, specie col senno di poi. Guardano al reggae di Kingston (vedi The Guns Of Brixton, scritta e cantata da Paul Simonon), allo ska (vedi Wrong ‘Em Boyo), ai Sessanta intrisi di Rolling Stones (vedi Brand New Cadillac) e al rock’n’roll. Già, il rock’n’roll, quello di Elvis magari, lo stesso Elvis simbolo degli Stati Uniti, dell’establishment bianco, perculato nella copertina del disco che riprende quella del suo omonimo esordio del ’56… i colori sono gli stessi, il protagonista anche, un musicista col suo strumento, solo che l’Elvis con chitarra acustica diventa per i Clash Simonon che sfascia il suo basso sul palco del Palladium di New York. Un artwork che suggerisce una quantità tale di possibili interpretazioni da far passare quasi in secondo piano il contenuto del disco.

Quasi, abbiamo detto. Perché “London Calling” si rivela fin da subito uno spaccato preciso e lucido dei guai dell’Occidente: dell’Inghilterra, certo, con Londra punto d’osservazione e protagonista indiscussa, dalla title track a The Guns Of Brixton; ma l’occhio dei Clash va oltre, torna indietro alla Guerra Civile spagnola del ’39 cercando un parallelo tra quello e il momento storico di fine Settanta (Spanish Bombs), guarda con sospetto alle pubblicità che già allora annichilivano le menti più suggestionabili (Koka Kola), si scaglia contro il consumismo imperante (Lost In The Supermarket), con gli Stati Uniti sempre nel mirino cui riservano un occhiolino o un ceffone a convenienza. Ma anziché farlo con la cacofonia del punk più intransigente, i Clash fanno tutto questo con i suoni quasi dolci del loro mischione geografico.

In poche parole, facendo tesoro dell’esperienza politica e sociale del punk, partendo dalle proprie origini ma andando a parare da tutt’altra parte, i Clash nel 1979 realizzarono quello che con ogni probabilità va considerato il disco punk più significativo di sempre, pur essendo a tutti gli effetti un album che di punk in senso stretto ha davvero poco se non l’attitudine. “London Calling” fece − e, ancora oggi attualissimo, la fa ancora − politica con amara ironia e senza spaccare vetrine o incendiare cassonetti, dimostrando che sì, il punk poteva e doveva evolversi.