I side project, si sa, raramente brillano come i progetti principali dei soggetti coinvolti. Perché spesso si nutrono di riff che, seppur buoni, sono banalmente riciclati e/o scartati, si nutrono della ricerca di sensazioni e sentimenti “altri”, sono spesso divertissement più che urgenza espressiva. Gli A Perfect Circle, che esordiscono ufficialmente solo col nuovo millennio ormai in corsa da una manciata di mesi, in realtà affondano le proprie radici più in là nel tempo, a inizio anni Novanta, quando Billy Howerdel − deus ex machina del progetto − incrocia on the road Maynard James Keenan. Il frontman dei Tool era ed è personaggio difficile da avvicinare, ma con Howerdel − impegnato a quei tempi come tecnico per svariate formazioni (tra cui, negli anni, anche Smashing Pumpkins e Nine Inch Nails) − scatta subito una sinergia artistica che spingerà entrambi a lavorare su materiale composto da Howerdel, voglioso di dar vita a una propria band cui dedicarsi anima e corpo.
Convinto Keenan, momentaneamente in pausa coi Tool, a metterci voce e testi, Howerdel assolda Troy Van Leeuwen per dividersi con lui le parti di chitarra, poi l’argentina Paz Lenchantin al basso e soprattutto al violino e Tim Alexander alla batteria, che lascerà di lì a poco il posto a Josh Freese. Con questa formazione − e tanti altri ospiti e amici che si asseconderanno in studio − viene registrato Mer De Noms. L’esordio degli A Perfect Circle ha ben poco dei Tool nonostante l’ingombrante e avvolgente presenza di Keenan, perché Howerdel guarda più all’alternative nineties, guarda al modo in cui si è evoluto (ma in troppi casi involuto) il grunge, guarda ai suoni industriali che avevano fatto immensi i Nine Inch Nails e poi ci aggiunge preziosismi prog e rarefazioni varie ed eventuali.
Il “mare di nomi” del titolo prende spunto dal filo conduttore che percorre la maggior parte dei brani, intestati a nomi propri di persona: c’è Magdalena, simbolo della prostituzione per antonomasia, pezzo roboante che unisce un testo dalla forte carica sessuale a riferimenti biblici e sacri, quasi a voler sottolineare con fermezza la sacralità dell’amore cantato da Maynard; c’è Judith, orecchiabile nel refrain e potente al punto giusto, con le sferzate di sei corde di Howerdel ad accompagnarsi alla perfezione a una sezione ritmica affidata a un Josh Freese in forma smagliante, coi suoi cambi di tempo alla velocità della luce. Ma ci sono anche Rose, Orestes, Thomas, Breña e la stupenda strumentale Renholdër (dedicata all’amico Danny Lohner, uno dei tanti accreditato nel libretto), a stilare un vero e proprio appello scandito dalla voce di Keenan.
Le tracce “innominate” sono l’opener The Hollow, in cui sono già forti quei riferimenti al sesso e al desiderio che pervadono l’intero disco, con la voce disperata di Keenan che ne testimonia l’inderogabilità; poi la dolcissima ballad 3 Libras, interrotta soltanto da un pulsante giro di chitarra che si ripete; Thinking Of You coi suoi suoni sintetici che pagano pegno ai già citati Nine Inch Nails ma anche agli stessi Tool e che già dal titolo ricorda il tema ricorrente dell’album, ovvero l’ossessione quasi maniacale verso l’altro sesso; Sleeping Beauty che è la più nineties del lotto e poi, in chiusura, Over, una sorta di poesia recitata da Keenan e magistralmente musicata al piano.
Con trequarti d’ora scarsi di debutto Howerdel dimostra come gli A Perfect Circle non fossero solo un side project illuminato dall’apporto di Maynard James Keenan e ad egli unicamente (ma neanche principalmente) riconducibile, dimostra come si sarebbe potuto e dovuto uscire bene dall’alternative dei ’90. Cuce, soprattutto, un nuovo e diverso abito addosso alle elucubrazioni mentali di Keenan, che concentra sulla nuova band un’altra parte dei suoi tormenti, quelli fino a quel momento non esplicitati con i Tool. Esordio dirompente.
DATA D’USCITA: 23 Maggio 2000
ETICHETTA: Virgin