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Daft Punk: 25 anni di Homework

Uno dei preconcetti più difficili da scardinare è quello relativo alla totale inutilità e ineffabile bruttezza della musica scritta e prodotta negli anni ‘90. Peccato che però ci si dimentichi spesso di un piccolo particolare: essere stati adolescenti nel 1997 significava accendere MTV e ritrovarsi di fronte a una creatura ibrida, metà uomo e metà cane e osservarlo, mentre  cammina per le strade di New York, appoggiandosi a una stampella. Non solo. Significava scoprire che la regia di quel clip, esordio di due ragazzi francesi del tutto sconosciuti, era firmata da Spike Jonze.

Se poi quelle frequenze le si osservava con costanza, succedeva anche di restare ipnotizzati davanti a una sequenza di subumani, scheletri, ragazze in cuffietta e costume intero, robot, uomini con teste piccole e gambe chilometriche muoversi su e giù per una micro struttura che sembrava un’opera di Salvador Dalì. Quel video lo si guardava più e più volte finché non ci si accorgeva che tutto era disturbante ma perfettamente a tempo e che ogni gruppo di creature si muoveva in corrispondenza di un suono ben preciso: gli uomini altissimi in tuta da ginnastica erano i bassi, gli scheletri le chitarre, il vocoder erano i robot, le mummie drum machine, i synth suonavano insieme ad agili ragazze, assorte in una sorta di danza/nuoto sincronizzato.

Around The World, la cui regia portava la firma di Michel Gondry, ci permise di vedere la musica. Un testo composto solo dal titolo, ripetuto per 144 volte. Ecco come, nel 1997, si presentarono al mondo Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter, ovvero sua maestà i Daft Punk. Da Funk e Around The World erano due dei tre singoli estratti da Homework, il primo di una piccola lista di creature con il loro marchio declinabili in infinite maniere, come una matrioska. Sono state tante le leggende circolate sul duo francese durante i vent’anni di una carriera indefinibile e inarrivabile. Si dice che “Homework” sia stato composto dentro la camera da letto del ventenne Thomas Bangalter, in maniera del tutto scadente e rudimentale, esattamente come un compito da svolgere a casa: “Homework”, per l’appunto.

La maggior parte dell’album è pieno di ingegnosità sottili che da quel momento in poi distingueranno i Daft Punk da tutto il resto. Semplice house ambient in Revolution 909, pause funky e voci in loop su Daftendirekt, riff striduli e acid house dentro Rollin’ & Scratchin’, o Teachers, una campionatura apparentemente decontestualizzate di Billy Joel su High Fidelity. “Homework” rappresenta a tutt’oggi un distillato di tutte le qualità estetiche dei Daft Punk. Molti altri Re Mida al pari del duo giungeranno alla corte dei Daft Punk, da Giorgio Moroder, a Nile Rodgers, a Matsumoto, a Paul Williams, contribuendo a reiventare l’estetica del pop, dell’elettronica e di tutto quello a cui si avvicinarono rendendolo immortale.

In quello che fu il sogno onirico dell’ingresso nel nuovo millennio, “Homework” si presentò come un cavallo di Troia e ci permise di sognare in grande. Peccato poi che qualcosa sia andato storto. Ciò che resta è scolpito nelle immagini di “Electroma” (il film dei Daft Punk del 2006): un pulsante autodistruttivo e un’esplosione che si ripete tre volte, come il climax di “Zabriskie Point”.

DATA D’USCITA: 20 Gennaio 1997
ETICHETTA: Virgin / Soma

Catanese, studi apparentemente molto poco creativi (la Giurisprudenza in realtà dà molto spazio alla fantasia e all'invenzione). Musicopatica per passione, purtroppo non ha ereditato l'eleganza sonora del fratello musicista; in compenso pianifica scelte di vita indossando gli auricolari.

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