“Death makes angels of us all
And gives us wings
Where we had shoulders
Smooth as raven’s
Claws”
Così recitava Jim Morrison pensando alla morte, mettendo in relazione il candore delle ali degli angeli con il manto nero dei corvi nel componimento “A Feast Of Friends”, tramutato in canzone dai compagni di band e inserito nel loro ultimo disco “An American Prayer” (1978). Tale dualismo si è riproposto più volte nella vita del frontman dei The Doors e non c’è niente che possa tracciarne visivamente meglio il ritratto come il celebre scatto di Guy Webster, in seguito elaborato e utilizzato sulla copertina del loro primo omonimo album: la foto, di grande impatto anche se al naturale, mostra l’artista per metà in luce, con lo sguardo profondo che crea una connessione diretta con chi osserva l’immagine. A detta dello stesso fotografo, c’era un aspetto angelico in Jim e la parte illuminata lo metteva ben in risalto, quella in ombra invece potrebbe rappresentare chiaramente l’alter ego Jimbo, o quell’anima irrequieta e incline agli eccessi che lo condussero alla morte il 3 Luglio del 1971 a Parigi.
Era circondato da un’aura mistica che mescolava bellezza, genialità, follia e dissolutezza nel cocktail amaro e dannato di chi è destinato a concludere il proprio cammino troppo presto, alimentando ulteriormente il mito intorno a sé. Morrison è l’ottavo del Club 27, subito dopo Alan Wilson, Jimi Hendrix e Janis Joplin, tutti scomparsi a 27 anni e solo pochi mesi prima di lui, e ancora oggi i misteri intorno alla sua morte non si placano: dal semplice attacco cardiaco, all’intossicazione da alcool e all’ipotesi della possibile overdose di eroina, alimentata dalla scomparsa avvenuta in tali circostanze solo qualche anno più tardi della sua bellissima compagna Pamela Courson, fino ai complotti di matrice governativa per eliminare gli artisti più influenti e all’inscenamento della dipartita da parte dello stesso cantante, per mollare tutto e andarsene in Africa come Rimbaud, uno dei poeti maledetti che amava di più (la teoria preferita da Ray Manzarek, e forse quella che piacerebbe anche a noi).
Jim frequentò il dipartimento di cinema della UCLA, era appassionato di filosofia e letteratura ed è stato spesso descritto da molti come una persona magnetica, spontanea, brillante e gentile. Tutto però cambiava quando al suo posto, dopo diversi bicchieri, faceva la sua comparsa Jimbo, il più molesto dei molesti, in grado di interrompere le esibizioni dei colleghi Hendrix e Joplin e commettere e pronunciare oscenità varie, distanti anni luce da quell’uomo sensibile. A fronte di quei tormenti la sua bellezza tendeva gradualmente a sfiorire e l’artista iniziava ad apparire provato, gonfio, anche se non come nel film del 1991 di Oliver Stone, “The Doors”, in cui viene mostrato visibilmente ingrassato e in maniera del tutto caricaturale. Un’americanata eccessiva e stereotipata, nonostante la valida recitazione di Val Kilmer o le somiglianze dei protagonisti (che, come ci insegnano i biopic odierni, non sono comunque mai sufficienti): per ricordare l’artista e i suoi compari Manzarek, Densmore e Krieger è molto meglio puntare sui documentari “When You’re Strange” (2010) di Tom DiCillo e “Feast Of Friends” (1969) di Paul Ferrara, curato dagli stessi Doors.
C’è anche chi sostiene che la figura di Morrison, al pari di quelle di molti musicisti sixties, ormai non faccia più testo o sia buona solo per essere stampata su delle magliette, perché gli ascolti su Spotify di Light My Fire non sono pari a quelli di altre canzoni moderne. Probabilmente si tratta di chi i dischi dei Doors non li ha mai nemmeno ascoltati e preferisce altro, ben venga, visto che ciò che viene messo in alta rotazione con grande avidità nel momento in cui sto digitando sulla tastiera, verrà dimenticato nel giro di un nanosecondo e nei libri di storia non ci entrerà nemmeno per sbaglio, mentre nel bene o nel male dei Doors si parlerà ancora tra altri cento anni, dittatura dei numeri sulle piattaforme musicali di streaming o meno.
Ciò che infatti rende artisti come Morrison speciali e affascinanti è proprio quel lato in ombra che li spingeva all’irrazionalità e – purtroppo di conseguenza – all’autodistruzione, senza tale dualismo, conflitto e tormenti reali non si crea la scintilla, per questo è bene precisare che la sua vita non fu fatta solo di eccessi, ma questi erano parte della sua poetica, del suo essere e facevano di lui un personaggio infinitamente più complesso di quanti oggi recitino una parte su un palco senza essere effettivamente “pericolosi e rivoluzionari”. L’oscurità di Jimbo ha avuto la meglio fisicamente sull’uomo Jim, ma non sulla leggenda che anche a cinquant’anni esatti dalla sua morte è ancora viva e le cui ali sono composte dai versi delle sue canzoni e delle sue poesie.