Nel 1977 usciva in Inghilterra “Never Mind The Bollocks Here’s The Sex Pistols”, il fulminante debutto dei Sex Pistols. Quel disco cambiò radicalmente la concezione del fare musica, del fare rock nell’intero Paese (e, di conseguenza, nel mondo), contribuendo a fare a pezzi il classico immaginario che voleva musicisti tecnicamente preparati e belle voci. Il punk era grezzume, era zozzeria, era rabbia sputata in faccia a chiunque si fosse frapposto tra te e la tua vita. Ma già l’anno precedente l’uscita del disco i Sex Pistols avevano cominciato a incidere, inconsciamente, sulla storia della musica: nello specifico, il 20 Luglio del ’76 si esibivano alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, davanti a una platea che vedeva presenti tra gli altri i giovanissimi Peter Hook e Bernard Sumner. I due, folgorati dall’irruenza dei Sex Pistols, misero in piedi una band con la voglia di emularli, di fare punk.
La svolta arriva pochi mesi dopo, quando Ian Curtis li contatta proponendosi come voce e autore dei testi della neonata band. Serve un nome e Curtis da accanito fan di David Bowie suggerisce Warsaw, proprio il titolo di un pezzo del Duca Bianco. Di lì a poco il nome della band cambia in Joy Division, in riferimento alle sezioni dei lager nazisti in cui venivano rinchiuse le donne usate come diversivo sessuale per i militari tedeschi. Curtis aveva già decine e decine di poesie che bisogna soltanto adattare al nuovo utilizzo, così i Joy Division si mettono al lavoro su quello che sarebbe stato il loro primo disco (dopo l’EP “An Ideal For Living” uscito a nome Warsaw), in lavorazione per la Factory Records.
Unknown Pleasures esce il 15 Giugno del 1979, neanche due anni dopo quel concerto dei Sex Pistols a Manchester. Del punk che Hook e Sumner volevano fare è rimasto ormai poco, s’era bruciato rapidamente insieme alle band che gli avevano dato vita. E poi c’è Ian, un ragazzo inquieto, fisicamente sofferente (epilessia, oltre a una costante e latente depressione), che trasforma la rabbia stridente del punk in un’implosione emotiva. Il malessere di quell’Inghilterra di fine ’70, specie delle periferie, c’è ed è evidente, ma quello descritto dai brani dei Joy Division è decisamente più personale e intimo, affonda le sue radici nelle difficoltà di una vita ai margini.
La voce baritonale e tremante di Curtis snocciola verità crude e laceranti, Ian ha imparato questo dal punk, ma è nella reazione che i Joy Division si differenziano, andando oltre il punk e inaugurando il post punk. La rabbia diventa rassegnazione, le catene e le borchie si trasformano in corde e farmaci, così tra la crudezza dei Velvet Underground, lo spettro di Bowie e l’impatto devastante di Jim Morrison, i Joy Division partoriscono uno dei manifesti più significativi della new wave, anticipando per tematiche e oscurità la corrente che avrebbe dato vita alla dark wave con le sue varianti sintetiche derivate proprio dalle ritmiche marziali dei Joy Division. Semplicemente uno dei dischi più seminali dell’intera storia della musica.
DATA D’USCITA: 15 Giugno 1979
ETICHETTA: Factory