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#MySong: “Crowds”, Bauhaus

Crowds
Bauhaus
“In The Flat Field”, 1980

L’amore è un fascio di luce. Un raggio scomposto in mille traiettorie. L’amore è luce. Sì, ma quando c’è… la luce. E quando invece svanisce? Quando tutto tramonta in un bagno viola? A quel punto l’amore fa i conti con le tenebre: la gelosia, il risentimento, la rabbia, il sospetto. Peter Murphy veste una maschera da caprone, si aggira tra alberi bagnati e boschi agghiaccianti, ma non è un paesaggio reale è piuttosto il contenuto del suo stomaco. È l’amore a fargli questo effetto. È l’amore senza luce. Quello brutale, ridicolo. Quanto fa freddo sulla superficie liscia e bianca del pianoforte di Crowds? Quanto freddo c’è nelle parole di questo brano dei Bauhaus?

“Cosa vuoi da me?
Cosa farai di me?”

Peter piange. È disperato. È una battaglia tra lui e lei. Tutto attorno ci sono “pallidi panorami” e turbamenti. “Canto di te nelle mie canzoni dementi” – quasi si pente di tutto l’amore sprecato. E la voce si alza, la costernazione pure. “Squarta quello che vuoi da me” – strilla. “prostituta”, “sudiciume”. Appesa con una pinza la radiografia di un amore senza luce: “Sputerai su di me, mi farai sputare”. Peter esagera, farnetica, chiama in causa la Bibbia: “E quando il grido di Giuda si alzerà, tu personificherai gli ebrei di Gesù!”. Il tradimento, l’ossessione. Il pianoforte rincorre la voce, ci sono singhiozzi, sporcature, gocce: “Per te sono arrivato a sacrificarmi – la saliva gli intralcia il pianto – (sono arrivato) a mostrare disprezzo e odio”. Alla fine Peter va via, non ce la fa a reggere l’angoscia. Vestito di scuro e con un inchino da teatrante, saluta e va via. Mentre la folla lo guarda allontanarsi coprendolo di vergogna. E la notte è ancora molto lunga.

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