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#MySong: “Nutshell”, Alice In Chains

Nutshell
Alice In Chains
“Jar Of Flies”, 1994

Una volta il rock era un guscio di noce. Patina dura all’esterno e materia viva, molle, debole, infuocata di dolore, risentimento, paura, all’interno. O almeno lo era il rock degli anni ‘90 così consistente nel ghigno, nelle cicatrici; così fragile nei contenuti. Layne Staley nel 1994 aveva già tagliato i capelli, il ribellismo non gli interessava più da un pezzo e probabilmente neanche il metal (il grunge neanche a parlarne). Il problema di Layne è la droga e il problema di Layne è che la droga è anche il problema di tutte le persone che ha accanto. Nel 1994, quando si ferma con gli Alice In Chains e forma i Mad Season, lo fa per un patto nato all’interno di un centro di disintossicazione tra Mike McCready dei Pearl Jam e John Baker Sounders dei Walkabouts. Lo fa perché anche Mark Lanegan si è chiuso in una di quelle cliniche e poi perché Kurt Cobain… beh, quella è una lunga storia. Ma i Mad Season si fermano presto, Baker Sounders non ce la fa: l’ennesima overdose se lo porta via. Prima dei Mad Season, “Jar Of Flies” (barattolo di mosche) è tra i dischi più cupi e tetri degli Alice In Chains. Meno chitarre pesanti, meno elettricità, più sconforto, meno guscio, più sangue. E Nutshell (guscio di noce) è il macigno nello stomaco di Layne, il gospel disperato di un cantante formidabile, ma totalmente in scacco matto dal destino. Una battaglia “che combattiamo da soli”, una vita “con nessun luogo da poter chiamare casa”, una ricerca continua, folle, di vita che si scontra con la medesima prospettiva di sempre: avete presente una mosca intrappolata in un barattolo di vetro?

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