Volendo, la sola storia di Nick Drake basterebbe – per essere scettici nei confronti dell’umanità. Volendo, pensando a uno dei più grandi poeti che abbiano mai imbracciato una chitarra che muore, da emerito signor nessuno, imbottito di antidepressivi, a casa dei suoi. A ventisei anni. Volendo, basterebbe ascoltare “Five Leaves Left” (1969) e “Bryter Layter” (1970). Volendo, si potrebbe perfino ignorare Pink Moon. E invece “Pink Moon” sta lì. Come un relitto enorme e inamovibile, come le ceneri di Cartagine. Come l’atto definitivo di un uomo che ha tentato di vivere. “Pink Moon” sta lì. Come uno dei più grandi capolavori del cantautorato di sempre, assieme ai suoi non più fortunati fratelli minori.
È l’autunno del 1971. Chris Blackwell, patron della Island, ha dato a Nick il via libera già in estate. Puoi registrare quello che vuoi – gli dice durante una strana vacanza in Costa Del Sol. Sa bene che quel ragazzo timidissimo, solitario, diffidente non sarà mai un crack commerciale; però mantiene la promessa. Perché quel ragazzo timidissimo, solitario, diffidente è anche un genio, un principe, un’anima salva. Se ne rendono conto anche gli altri. Se ne rendono conto tutti i presenti, quella notte: quelle pochissime ore in sala di registrazione. Una session quasi secca. Undici brani.
La title track, che fa da opening al disco, è un delicato esorcismo contro il male. Un talismano per farsi largo nella sofferenza, nella sventura, nell’oblio. Il primo lascito di un involontario testamento che non può prescindere da alcuna traccia. Si prosegue, infatti, con un’altra gemma: Place To Be. “You can take a road that takes you to the stars now, I can take a road that’ll see me through” – e attraversando questa Road – per l’appunto – si giunge agli interrogativi senza risposta di Which Will. Il dolcissimo intermezzo Horn è solo il preludio a un altro pezzo gigantesco, Things Behind The Sun. “Who’ll hear what I say?”, canta Drake all’inizio della seconda strofa. Se solo sapesse.
Se solo sapesse quanti milioni di persone si sono sciolti nell’esilità di Know, nel nichilismo di Parasite, nel composto e insieme labile anelito di Free Ride. Nelle poche righe di Harvest Breed. Se solo sapesse. “Pink Moon” fu un fiasco, le vendite andarono malissimo. Deluso, colpito, sconfitto – il songwriter tornò nel Warwickshire, tentando di dimenticare Londra nell’abbraccio della terra che fu di Shakespeare prima di lui. Nell’abbraccio della famiglia, tanto devota alla sua causa. Ma né loro, né lui riuscirono a vincere quella partita a scacchi di bergmaniana memoria.
Sulla lapide faranno incidere due versi dall’ultima, meravigliosa From The Morning. “Now we rise, and we are everywhere”. Ed è così che è andata. L’opera di Nick Drake oggi è ovunque, il suo nome unanimemente considerato quello di un padre fondatore non di un genere – ma di un’epopea sentimentale e spirituale. La sua storia basterebbe, da sola, per essere scettici nei confronti dell’umanità. E invece ne sublima semplicemente una parte. La parte fragile, viva, attenta. La parte solo apparentemente schiacciata. Che risorge in virtù del più forte dei diritti: la capacità di lenire il mondo anziché se stessa.
DATA D’USCITA: 25 Febbraio 1972
ETICHETTA: Island