Per chiunque aveva vissuto la Seattle a cavallo fra ’80 e ’90 fu complicato andare avanti dopo il suicidio di Kurt Cobain, una morte che ruppe quell’idillio (almeno di facciata, visto che sul lato oscuro l’eroina stava devastando un’intera generazione di musicisti) che aveva portato il grunge e la sua città di riferimento in cima all’Olimpo del rock mondiale. Figuriamoci come può essere stato difficile rimettersi a fare musica per quei campioni che, per un verso o per l’altro, avevano condiviso stanze lerce e sottoscala, palchi di periferia e poi quelli dei più grandi festival in giro per il mondo. E non è infatti un caso come vada collocata di lì a poco quella che storicamente viene considerata la fine del grunge, ovvero il 1996, ovvero l’ultimo album dei Soundgarden prima del loro scioglimento ufficiale del 1997.
Down On The Upside arriva a stretto giro rispetto a “Superunknown” (1994), un album sconvolgente sotto ogni punto di vista possibile che aveva catapultato i Soundgarden sulla bocca e nelle orecchie di tutti, non più soltanto degli appassionati di quella determinata scena che aveva stravolto la storia del rock. Il motivo di quel successo fu facile da comprendere già allora e stava tutto nell’ammorbidimento delle sonorità della band rispetto al passato heavy di “Ultramega OK” (1988), “Louder Than Love” (1989) e “Badmotorfinger” (1991). L’artefice principale di quella nuova dimensione più morbida e patinata dei Soundgarden era stato Chris Cornell, già probabilmente e inconsciamente proiettato verso il proprio futuro artistico. Kim Thayil, che fino a quel momento aveva condiviso con Cornell i principali oneri compositivi, vedeva “Superunknown” come un’eccezione prima del ritorno alle radici della band. Fu proprio questa diversità di vedute sulla strada da intraprendere che contribuì a separare − quantomeno momentaneamente − le strade dei quattro.
Ma il disco c’era già e andava solo ultimato e pubblicato. È Cornell che lo compone pressoché integralmente col supporto di Ben Shepherd (Thayil si riserverà la sola Never The Machine Forever, non a caso il brano più tirato della tracklist), dunque anche “Down On The Upside” continua sulla falsariga del luminoso predecessore. Ad esempio c’è una Zero Chance che ha tutte le sembianze della ballata folk rock, con un’acustica che fa capolino tra le consuete stratificazioni della casa; ma è in generale in tutto il disco che i Soundgarden rallentano parecchio i loro ritmi, Dusty col suo piglio in bilico fra Dinosaur Jr. e Violent Femmes, Ty Cobb che gioca su una velocità punk su cui s’innesta però uno strambo (per i Soundgarden) mandolino, le stesse corde acustiche che sottendono ai singoli Blow Up The Outside World e Burden In My Hand, in cui è facile rivedere uno schema ormai diventato marchio di fabbrica non solo per i Soundgarden ma un po’ per tutti i grandi pezzi del grunge. Acustica che ritorna anche in Applebite, con le sue tonalità psych supportate dalla miriade di effetti sulla voce di Cornell.
I Soundgarden di “Down On The Upside” non dimenticano però del tutto il loro background, così ecco che Tighter & Tighter assesta una delle loro classiche bordate hard rock, mentre No Attention scandaglia lo stesso versante punk già riscontrato in Ty Cobb. All’inizio del disco, invece, sono non a caso posizionati i due ganci più soundgardeniani del disco, ovvero il singolo Pretty Noose e Rhinosaur, hard rock edulcorato che riporta prepotentemente a “Superunknown”. La differenza rispetto al passato la fanno qui le atmosfere, spesso e volentieri plumbee, che si intravedono un po’ ovunque ma che sul finale si fanno metodo, con Overfloater e Boot Camp che mescolano la stessa inquietudine che accomuna Soundgarden e Alice In Chains, declinata però in chiave psichedelica.
Lontano dal bissare il successo ma anche i livelli qualitativi di “Superunknown”, “Down On The Upside” si rivela un album forse troppo lungo e dispersivo, pieno zeppo di spunti quasi mai approfonditi e più in generale stanco. Un album che, pur presentando una manciata di pezzi dall’indubbio valore, trascina i Soundgarden verso l’inevitabile interruzione della loro avventura congiunta. Era davvero impossibile fare meglio del loro recente passato ma, come dicevamo all’inizio, era anche difficile in generale continuare ad esprimersi su certi livelli dopo quanto era successo. Occorreva voltare pagina, proiettarsi verso qualcos’altro magari anche rischiando, e chi se non i Soundgarden poteva scrivere e firmare i titoli di coda del grunge?
DATA D’USCITA: 21 Maggio 1996
ETICHETTA: A&M