Secondo una massima di Duke Ellington vi sarebbero solo due tipi di musica: quella buona e tutto il resto. Vi sono band destinate a fallire con il primo disco o a dividere perennemente la critica senza riuscire mai a trovare una quadra reale nel proprio percorso, e altre che invece riescono a scrivere una pagina di storia con una manciata di brani, senza arricchire successivamente più di tanto la propria discografia. Lo sa bene Thomas Miller, che tutti conosciamo con lo pseudonimo di Tom Verlaine, omaggio al poète maudit, frontman dei Television, che con le chitarre di Marquee Moon hanno spalancato le porte a tanti sottogeneri musicali futuri, cambiando per sempre il modo di fare rock e punk.
Frutto dell’evoluzione del terzetto Neon Boys, originariamente composto da Verlaine, il batterista Billy Ficca e il bassista Richard Hell, i Television presero forma definitivamente tra il 1974 e il 1975 con l’arrivo della chitarra ritmica di Richard Lloyd e l’uscita di Hell, sostituito dall’ex Blondie Fred Smith, conosciuto frequentando assiduamente il CBGB di New York, fucina di talenti del panorama underground dell’epoca e luogo che spesso ospitava gruppi provenienti anche dal vecchio continente. Tutto parla di quegli scenari newyorkesi in “Marquee Moon”, dall’immagine di copertina scattata da un altro maudit,Robert Mapplethorpe, al titolo che fa riferimento al cielo notturno della metropoli, dominato dai neon.
A colpire personaggi del calibro di Brian Eno e Peter Gabriel furono le liriche decadenti e ardimentose e il sound che riusciva a coniugare avanguardie jazz, psichedelia e la ruvidità del proto punk, questi ultimi in particolare elementi di velvettiana memoria, opera di Tom, principale mente creativa del progetto, affatto semplice da gestire quando si metteva in testa una cosa. Se la sua idea di produrre il debut in autonomia venne subito scartata dalla Elektra, la scelta cadde su qualcuno che sapeva decisamente il fatto suo: Andy Johns, ingegnere del suono che aveva collaborato attivamente con Free, Led Zeppelin e Rolling Stones, e che quindi di chitarre se ne intendeva almeno un po’.
A farla da padroni sono gli arpeggi della giocosa See No Evil, la mitologia urbana raccontata nelle immagini surreali di Venus, il complesso duetto intrecciato dalle chitarre nevrotiche e vorticose di Friction, tra i migliori giochi di prestigio ad opera del gruppo, culminando nella vita travagliata narrata dalle liriche elevate della monumentale title track, suite di dieci minuti nata da varie improvvisazioni effettuate durante i primi live, caratterizzata da uno degli assoli più belli di Verlaine. Le tentazioni della città che conducono alla pazzia sono sottolineate dai riff di Lloyd di Elevation, a cui fanno seguito le notti insonni della placida Guiding Light, le derive filosofiche nascoste nei versi di Prove It, calando il sipario (strappato) con la drammatica Torn Curtain, traccia dal sapore floydiano, chiusa da un lungo guitar solo di Tom.
“Marquee Moon”è di per sé enigma e dimostrazione di come le giuste dosi di genio, tecnica, ispirazione e fortuna possano dare vita a qualcosa di grandioso, destinato a restare un unicum e punto di riferimento imprescindibile ancora oggi, con la rinnovata corrente post punk europea, tanto che il successivo “Adventure” (1978), a seguito del quale Verlaine scioglierà la band, e il post-reunion “Television” (1992), seppur belli e degni di essere conosciuti, non riusciranno mai a raggiungerne il livello di perfezione.
DATA D’USCITA: 8 Febbraio 1977
ETICHETTA: Elektra