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The Cure: 40 anni di Pornography

Controverso, rabbioso, macabro, un profondo crepaccio nero come la pece che tenta di ammaliarti, renderti vulnerabile e trascinarti al suo interno, lasciando uscire tutti gli incubi più reconditi, le allucinazioni e i demoni che albergavano nella mente di Robert Smith, al tempo offuscata dalle droghe, dai fumi dell’alcol e in preda alla depressione più grave, quasi un punto di non ritorno per lui, Lol Tolhurst e Simon Gallup (che di lì a poco sarebbe uscito dalla band), in una parola “definitivo”, tanto da diventare negli anni uno dei maggiori simboli in assoluto del rock gotico: Pornography, quarta opera dei The Cure e conclusione ideale della prima parabola dark, preceduta da “Faith” (1981) e “Seventeen Seconds” (1980), rappresenta tutto questo.

“It doesn’t matter if we all die”, i poliritmi di basso e batteria che insieme ai guizzi tremolanti di chitarra conferiscono a One Hundred Years un’atmosfera orrorifica, accolgono subito l’ascoltatore insieme al suo iconico verso, simbolo del disgusto verso se stessi e il mondo esterno e “fisico” a cui ci si deve relazionare, insieme alle sofferenze conseguenti, paragonate a conflitti sanguinari da combattere. Ad essa fanno seguito gli effetti a breve termine delle droghe e la caducità della vita avvolti nei ronzii sinistri e reboanti di A Short Term Effect e la “bass cavalcade” orientaleggiante The Hanging Garden, possibile riferimento, oltre ad “animali che fanno cose”, a detta di Smith, all’omonimo giardino pensile di Mumbai nel quale si trovano siepi a forma di animali.

Il flusso di coscienza e i brandelli di immagini di Siamese Twins riguardano invece l’odio e la purezza nei rapporti sessuali tra esseri umani; una traccia più lieve nelle sonorità, ma non per questo meno drammatica e torturata delle altre. In The Figurehead ritorna l’incedere duro dominato dalla coppia basso e batteria, a cui fa da contraltare una parte melodica, la voce di Smith, che allude a segreti mortali, impuri e contraddizioni che lo tormentano togliendogli il sonno. La malinconica A Strange Day punta maggiormente su dettagli elettronici e guitar riff leggeri, scivolando lenta lungo “una giornata strana”, quella della fine del mondo.

Dopo aver fatto se stessi, l’amore e il mondo circostante a pezzi, brano dopo brano, non rimane che il freddo e una sorta di eterna notte descritta in Cold, introdotta da un violoncello suonato da Smith e seguita da sintetiche melodie funeree. L’ultimo atto di questa discesa all’inferno è dedicato alla title track, Pornography, violento vortice cacofonico, sovrastato dalle percussioni minacciose di Tolhurst, cheinclude l’estratto “mascherato” e distorto di un dibattito televisivo sulla pornografia, avvenuto tra il comico Graham Chapman, membro dei Monty Python, e la femminista Germaine Greer, principale ispirazione da cui derivò il titolo del disco.

“Non esiste la fine. Aspettiamo… Qualche cosa succederà…”, niente può essere meglio paragonato alla chiusura di “Pornography”, come la battuta finale di quella che avrebbe dovuto essere l’ultima opera di Pasolini, altro grande artista a tutto tondo, tra i più controversi della storia, la quale neanche a farlo apposta avrebbe dovuto chiamarsi proprio “Porno-Teo-Kolossal” (che a leggerne la sceneggiatura, a immagini impressionanti e nichilismo, non era certo da meno in confronto all’album dei Nostri): nonostante le premesse, la situazione in cui riversava la band in quel periodo e soprattutto il suo frontman, giunto a un passo dall’implosione, e l’iniziale stroncatura da parte della critica, quell’album nato dal caos e dall’oscurità segnò tutto tranne che la fine dei Cure, ma solo di una fase, poiché avrebbero avuto ancora un grande futuro e una lunga lista di (cambi di formazione repentini, sentieri tortuosi e) successi davanti.

DATA D’USCITA: 4 Maggio 1982
ETICHETTA: Fiction

Studentessa di ingegneria informatica, musicofila, appassionata di arte, letteratura, fotografia e tante altre (davvero troppe) cose. Parla di musica su Il Cibicida e con chiunque incontri sulla sua strada o su un regionale (più o meno) veloce.

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