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The Stooges: 50 anni del self titled

Il 5 Agosto del 1969 il movimento hippie stava per giungere all’apice con la tre giorni di Woodstock che si sarebbe tenuta da lì a poco, ma non godeva certo di ottima salute. L’amore non stava trionfando, le tensioni sociali e politiche erano tante e sempre più pressanti, con un malessere serpeggiante per gli interi Stati Uniti. A Detroit, la città industriale per eccellenza dell’intero Paese, tutto ciò sembrava amplificato a dismisura, complici il grigiore del clima e quelle stesse fabbriche che se da un lato davano lavoro all’intera città, dall’altro alienavano chiunque c’avesse a che fare.

È in quel contesto che si evolvono la personalità di James Newell Osterberg Jr. e le sue emanazioni artistiche. Figlio di una famiglia medio-borghese, rimane folgorato dal rock’n’roll e della sua forza espressiva, in modo particolare da Jim Morrison e i suoi Doors, da quelle performance che sul palco divenivano veri e propri baccanali, dal linguaggio osceno e senza filtri. E poi le droghe, certo, elemento imprescindibile del rock di quegli anni che Iggy Pop (o Iggy Stooge, come inizialmente ribattezzatosi) non si fece pregare a fare proprio.

Ha l’argento vivo addosso Iggy, vuole seguire le orme del suo idolo Morrison e, anzi, vuole andare persino oltre. Insieme ai fratelli Ron e Scott Asheton, rispettivamente chitarra e batteria, e al bassista Dave Alexander, così, mette in piedi gli Psychedelic Stooges, poi semplicemente Stooges su richiesta della Elektra, la stessa etichetta dei Doors che li mette sotto contratto al pari dei concittadini MC5. In quella Detroit si stavano piantando i germi dell’intero fenomeno punk con una manciata d’anni d’anticipo rispetto alla New York dei Ramones e alla Londra dei Sex Pistols: se gli MC5 si distinguono per la loro carica garage, gli Stooges pescano invece nei pozzi più torbidi degli Stati Uniti, nel rumorismo dei Velvet Underground, nella psichedelia più marcia, nella letteratura da strada.

Quel 5 Agosto del 1969 esce così l’omonimo debutto della band, prodotto niente poco di meno che da John Cale, un pezzo fondamentale di quei Velvet Underground cui gli Stooges stavano guardando. The Stooges è un pugno nello stomaco: il boogie condito da handclapping di 1969 ha solo la parvenza del pezzo “classico”, perché gli Stooges sono già oltre, Ron spacca tutto con le distorsioni abrasive della sua chitarra mentre Iggy vomita nichilismo allo stato puro. Il 1969, l’ennesimo anno uguale a tutti i precedenti e probabilmente anche ai successivi, l’ennesimo anno in cui niente è ancora cambiato.

Se I Wanna Be Your Dog è il maggior omaggio di Iggy a Morrison, con una sessualità perversa messa in mostra neanche fosse un nano da giardino (e che torna anche in Ann e nella conclusiva Little Doll), tanto oltraggioso nel testo quanto ficcante con quei pochi accordi di chitarra, We Will Fall è lo strascico psichedelico che gli Stooges si portano dietro come un cordone ombelicale sul punto di essere reciso, ma l’LSD di cui è intriso il brano è palesemente andato a male, oltre dieci minuti di in rituale soffocante in cui si erge la viola dello stesso John Cale. E poi No Fun, il manifesto del disco, della città in cui affonda le sue radici, della noia di un ragazzo con una personalità troppo spiccata per accontentarsi di Detroit e credere ancora nel potere dei fiori decantato dagli hippie.

Così come il folgorante esordio di due anni prima dei Velvet Underground, anche “The Stooges” non attecchisce subito nel pubblico, ma la strada è ormai tracciata e non si potrà più tornare indietro: gli sconvolgimenti dettati dal punk, il “no future” dei Sex Pistols, lo sdoganamento della violenza autolesionista (quella di Iggy Pop sul palco) e verbale nel rock, passano tutti da questo disco e dalla sua assimilazione. Semplicemente una delle opere prime più incisive e seminali della storia.

DATA D’USCITA: 5 Agosto 1969
ETICHETTA: Elektra

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