Con alle spalle due album che avevano riscosso un certo apprezzamento senza però uscire dalla nicchia alternative, “A Storm In Heaven” del ’93 e “A Northern Soul” del ’95, quella dei The Verve era una parabola in salita che li aveva portati fino allo scioglimento, complici problematiche interne e dipendenze varie ed eventuali. A un passo dal burrone, Richard Ashcroft rimette in sesto la band e si lancia nella scrittura del terzo capitolo della loro discografia: nel Giugno del 1997 esce il primo singolo estratto dal disco, Bitter Sweet Symphony, una bomba che sconquassa le chart. Un giro di archi indimenticabile (preso in prestito dalla “The Last Time” dei Rolling Stones, che infatti trascineranno i Verve in tribunale), una melodia tanto semplice quanto d’impatto e quel videoclip epocale che ne decreta da subito l’ingresso dalla porta principale nell’immaginario degli anni ’90. Ma Urban Hymns non è solo Bitter Sweet Symphony: nell’album la psichedelia che impregnava i primi due lavori resta solo un velato riferimento, i Verve s’inseriscono alla perfezione nella corrente britpop e si candidano a raccogliere l’eredità dei (quasi) concittadini Oasis, già ai ferri corti. Come si diceva, le reminiscenze psych le si può ancora sentire in brani come The Rolling People o Catching The Butterfly, ma a farla da padrone sono qui ballate come i singoli The Drugs Don’t Work, Lucky Man e Sonnet, accompagnate dalla voce certo non dolcissima di Ashcroft ma per questo perfetta nel rappresentare le atmosfere del disco. Nel Regno Unito del 1997 c’erano, fra gli altri, gli Oasis con “Be Here Now”, i Blur col loro album omonimo e persino i Radiohead con “OK Computer”. Ma quello sarebbe stato, alla fine dei conteggi, l’anno di “Urban Hymns” e dei Verve, che nel bel mezzo del tour seguente si scioglieranno di nuovo e questa volta definitivamente (almeno fino alla fugace reunion del 2007).
DATA D’USCITA: 29 Settembre 1997
ETICHETTA: Hut