Il terzo disco e primo grande successo tutto originale di quel duo incredibile e misterioso che furono i The White Stripes, venne registrato in meno di una settimana nel Febbraio del 2001 negli studi Easley McCain di Memphis in Tennessee. Dedicato a Loretta Lynn, amica di Jack e Meg White, per la quale il chitarrista ha anche prodotto l’album “Van Lear Rose” (2004), White Blood Cells contiene sedici tracce, più garage rock che blues, da poche manciate di secondi l’una, ma abbastanza da lasciare il segno. Inutile precisare che liriche, partiture e packaging furono curati maniacalmente come al solito, sotto l’attenta direzione del musicista di Detroit: la copertina ritrae la coppia circondata da figure scure armate di telecamera, critica sottile nei confronti dell’industria musicale e dell’attenzione mediatica che stava crescendo intorno alla band, mentre il sound punta tutto su chitarra, batteria e piano, senza grossi artifici o assoli.
Analizzando questo quadro, chi vede la quieta e timorosa Meg come una pedina nella partita intavolata sulla scacchiera (rigorosamente bianca, nera e rossa) di Jack, sbaglia: lui stesso l’ha sempre considerata il membro chiave della band, e quindi una regina (sorella, cugina, moglie, fidanzata, ex fidanzata, ex moglie, ex sorella, che differenza fa?). Pur essendo stata spesso sottovalutata come batterista, probabilmente anche a causa dei suoi disturbi di ansia che purtroppo portarono la coppia a rompere il sodalizio nel 2007, il suo stile è minimale, a volte impreciso, ma innovativo, come se riuscisse a far “cantare” lo strumento fianco a fianco al frontman e metterlo in comunicazione con lui, tradotto: se al posto di Meg ci fosse stato chissà quale musicista eccelso, ma privo di personalità, il risultato non sarebbe stato uguale o migliore. È questo dettaglio relativo ad unicità e sintonia a fare realmente la differenza, costituendo così un duo solido, in grado di sostenere l’estro e realizzare a tutti gli effetti le bizzarrie dell’eclettico Mr. White.
Se poi ovviamente non ci si volesse accontentare del solo trittico chitarra/batteria/piano, esiste anche “Redd Blood Cells”, progetto online nato per gioco grazie al bassista dei Redd Kross Steven McDonald e supportato dagli stessi Stripes, nel quale il musicista ha contribuito ad aggiungere la traccia di basso ad ogni brano dell’album. Al visionario regista Michel Gondry venne affidato il compito di dirigere il surreale videoclip della memorabile traccia d’apertura punk blues Dead Leaves And The Dirty Ground, tanto riuscita quanto chiacchierata, in quanto, secondo alcuni, riferita al rapporto tra i presunti coniugi White, mentre per la dinamica e country Hotel Yorba toccò a Dan John Miller: in quel caso la coppia riuscì nell’incredibile impresa di farsi censurare e bandire a vita dall’hotel, situato a pochi passi dalla casa natale di Jack.
Attirò su di sé qualche antipatia la controversa I’m Finding It Harder To Be A Gentleman, attraverso la quale traspare il carattere non sempre idilliaco del chitarrista, ma ciò che fece realmente balzare gli Stripes agli onori delle cronache fu il minuto e cinquanta dell’uptempo martellante e un po’ “dude” di Fell In Love With A Girl, perla accompagnata dall’iconico video Lego-animato, nuovamente ad opera di Gondry: oltre ad essere stati obbligati a spendere di tasca propria per l’enorme quantità di mattoncini utilizzata nel videoclip, la Lego declinò anche la richiesta del duo di realizzare un box set speciale da vendere insieme al singolo. Tuttavia, dopo l’enorme successo del brano, fu la stessa casa di produzione di giocattoli a tentare di ricontattare il gruppo per una collaborazione, che a quel punto scelse di rispondere serenamente con un giusto e meritatissimo “no, grazie”.
La chitarra acustica delicata della simil ninna nanna We’re Going To Be Friends e pezzi quieti come Now Mary, di ispirazione country, e This Protector, retto soltanto dal piano e dalle voci del duo, fanno da contraltare ai guitar riff dispettosi dell’attesa snervante illustrata sonoramente in Expecting, quelli della frecciatina Offend In Every Way e della storiella nonsense di I Think I Smell A Rat. È possibile trovare anche un riferimento colto al cinema di Orson Wells (con tanto di rischio di infrazione di copyright annesso) in The Union Forever, un’intro di chitarra che strizza l’occhio ad “Heart-Shaped Box” dei Nirvana in I Can’t Wait e i pensieri profondi espressi nelle lente, solenni e autobiografiche The Same Boy You’ve Always Known e I Can Learn, così come i momenti di cazzeggio apparente del breve intermezzo Little Room, in realtà chiaro manifesto del modo di pensare e lavorare dei White Stripes, e della distorta e sperimentale Aluminium.
È difficile accettare che questa avventura sia finita. Jack continua a sfornare buona musica e a dedicarsi a progetti nuovi in quel bel parco divertimenti che è la sua Third Man Records, ma certi estri, colpi di fortuna o audacia che siano, capitano ben poche volte nella vita; “White Blood Cells” è sicuramente uno di quelli, e senza la complicità della mitica Meg non avrebbe potuto avere lo stesso successo, e forse nemmeno vedere la luce.
DATA D’USCITA: 3Luglio 2001
ETICHETTA: Sympathy For The Record Industry