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Tracy Chapman: 30 anni del self titled

Studentessa di antropologia e cultura afroamericana e grande appassionata di musica, nel corso degli anni ’80 e degli studi universitari Tracy Chapman coltiva un innesto che finirà per coniugare quei due grandi segmenti della sua vita. Il risultato sarà, nel 1988, l’omonimo album d’esordio. Nel disco Chapman si espone inequivocabilmente, sposando la causa degli ultimi, di quella parte della popolazione americana dimenticata e abbandonata nelle periferie delle grandi metropoli o nelle cittadine rurali, con attenzione particolare alle condizioni della gente di colore. È un album di protesta il suo, ma il modo in cui Chapman si fa portavoce del messaggio non è usuale, almeno per i tempi: nelle grinze di un folk minimale di scuola Bob Dylan/Joni Mitchell, Chapman grida sottovoce, un ossimoro in cui la ruvida consapevolezza dei problemi sfocia nella speranza, a tratti certezza, che prima o poi le questioni verranno risolte. La rivoluzione di Tracy è silenziosa ma ferma (Talkin’ About A Revolution), romantica e malinconica (Baby Can I Hold YouFor My Lover), tra pezzi quasi a cappella (Behind The Wall) e virate reggae (She’s Got Her Ticket) in cui riesce a mischiare la tradizione folk con quella nera del gospel e del soul. L’album non avrà mai un seguito di pari valore nella discografia della Chapman, ma varrà all’artista di Cleveland numerosi riconoscimenti e la partecipazione allo storico concerto dell’11 Giugno 1988 al Wembley Stadium di Londra, tributo in occasione del settantesimo compleanno di Nelson Mandela, leader della lotta all’apartheid a quei tempi ancora imprigionato.

DATA D’USCITA: 5 Aprile 1988
ETICHETTA: Elektra

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