A una manciata di mesi dal fortunato “The Yes Album” (1971), disco che rappresentò il trampolino di lancio della band capitanata all’epoca da Jon Anderson, l’ascesa del quintetto britannico proseguì con Fragile, prima opera a vedere l’ambizioso e poliedrico Rick Wakeman alle tastiere al posto di Tony Kaye, costituendo così la cosiddetta “formazione classica”, completata da Bill Bruford, Chris Squire e Steve Howe, ricordata per i più grandi successi riscossi dagli Yes. Un’ulteriore novità fu la collaborazione con il grafico Roger Dean, ideatore dell’iconica cover raffigurante la Terra divisa da una crepa, con il quale strinsero un sodalizio lungo quarant’anni per la realizzazione delle copertine e delle scenografie dei loro concerti.
Il concetto di “fragilità” degli equilibri, come si evince dal titolo, riconduce a molteplici interpretazioni: nell’immagine sul retro il pianeta inizia a sgretolarsi e tale frattura sembra riferirsi a quella avvenuta tra la band e Kaye, che rifiutò di approfondire i suoi studi in merito ad altri tipi di strumenti elettronici, oltre che voler lanciare un grido di allarme, in riferimento ai delicati ecosistemi della Terra e allo sfruttamento delle sue risorse, monito che oggi più che mai trova riscontro. La quarta fatica del gruppo presenta cinque brani individuali, ognuno studiato ed arrangiato da un singolo componente, e quattro collaborativi, tra i migliori della loro intera discografia.
Non ha bisogno di presentazioni la famosissima Roundabout, traccia incalzata dalla bassline dinamica di Squire e nominata dal mitico protagonista di “School Of Rock” impersonato Jack Black, sottolineandone l’importanza dell’assolo di tastiere e dei virtuosismi di Wakeman, ed il cui testo venne ispirato da un viaggio in macchina costellato di rotonde compiuto dalla band da Aberdeen a Glasgow (o almeno questa è una delle versioni più accreditate). Cans And Brahms vede il tastierista riarrangiare alcuni estratti del Terzo Movimento della “Sinfonia n. 4 in mi minore” di Johannes Brahms, mentre i cori sovraincisi di Anderson sono i protagonisti assoluti di We Have Heaven.
Lungo i suoi quasi otto minuti, la spedizione tra i ghiacci raccontata nell’eccellente e corale South Side Of The Sky si snoda tra quieti passaggi di pianoforte ed efficaci giochi di prestigio di chitarra elettrica e batteria, ingaggiando in chiusura nella sua (rara) versione live un vero e proprio duello tra synth e chitarra, per poi giungere alla metà del percorso segnato dagli esercizi alla batteria di Bruford nel brevissimo intermezzo Five Per Cent For Nothing, il cui titolo ironico fa riferimento alla percentuale di incassi intascata dagli agenti della band. Tra le note del piano elettrico e i ritmi frenetici di Long Distance Runaround si celano delle frecciate contro l’ipocrisia presente in ambiente religioso e la sparatoria avvenuta alla Kent State University l’anno precedente, dove quattro studenti vennero uccisi dalla Guardia Nazionale.
Il basso di Squire la fa da padrone in The Fish (Schindleria Praematurus), cedendo il testimone ai fraseggi della chitarra acustica di Howe in Mood For A Day. La lunga ed epica suite Heart Of The Sunrise conclude quella brillante gemma progressive rock dai significati criptici che è “Fragile”, anticamera del punto più alto mai raggiunto dagli Yes (e forse dal rock progressivo in generale) con il successivo “Close To The Edge” (1972) e inizio di un viaggio attraverso i sogni e i mondi impossibili resi visivamente sulle cover dei loro album e raccontati nelle canzoni.
DATA D’USCITA: 26 Novembre 1971
ETICHETTA: Atlantic