Il Cibicida ha intervistato il cantautore toscano Andrea Chimenti in una gradevole chiacchierata virtuale incentrata sulle tematiche dell’ultima prova del suo lotto: “Vietato Morire”. Il musicista ci racconta un po’ di se stesso ed analizza la sua musica. Ungaretti, il peso della parola ed il cantautorato italiano moderno sono alcuni degli argomenti passati in rassegna. Nonostante si senta un uomo “notturno” quello che, al contrario, stupisce di lui è una spiccata solarità. Buona lettura.
Il tuo ultimo disco, “Vietato Morire”, vive di piccoli grandi momenti di musica, è un disco che descrive e respira molto. Ma per cosa vale la pena non morire?
Per difendere qualcosa… qualunque cosa da strappare al nulla. Credo di non essere l’unico a pensare che l’occidente viva un’agonia che man mano sta sempre più velocemente avvicinandosi alla sua conclusione. Gli antichi ideali sono morti e non sono stati sostituiti da nulla, se non dal denaro, dal profitto, da una valanga di diritti che ormai sembrano pesare più dei doveri, dalla scienza… il tutto concorre a darci quella che chiamano una buona “qualità di vita”. Probabilmente oggi viviamo qualche anno in più… a 70 anni ne dimostriamo 60, ma a me pare che siamo tutti morti. Non crediamo più in nulla e quindi non abbiamo più nulla da difendere e chi non ha niente da difendere è già morto. Non credo di essere un catastrofista e neanche uno troppo attento a quello che lo circonda, ma il grigiore e la tiepidezza è talmente evidente…
Non concordo con questa tua analisi. Penso di aver iniziato facendo del rock i cui riferimenti erano chiaramente inglesi. “Canto Pagano” fu prodotto da Mick Ronson, chitarrista glam che aveva lavorato con David Bowie, Lou Reed e tanti altri. La particolarità era quella di cantare in italiano un genere tipicamente anglosassone. Con il tempo credo di essere riuscito ad abbandonare certi riferimenti approdando ad un mondo che mi appartiene maggiormente, più personale. Oggi nelle mie canzoni c’è una grande attenzione all’aspetto musicale e la ricerca mi ha fatto accostare sonorità jazz a quelle classiche, con un’impronta sempre derivante dal rock. Come dici giustamente, l’atmosfera è più soffice e delicata, ma solo nella forma, perchè più dura e forte nei suoi contenuti. Ci sono pochi riferimenti al cantautorato italiano, che raramente ha dato importanza alla musica, ma più a quello inglese… del resto sono cresciuto con quella musica.
Parlaci un po’ di come il canto ebraico “Mipney Ma” è entrato nel disco…
Ho lavorato in uno spettacolo di cultura ebraica con una compagnia di danza di Reggio Emilia. Sono capitato all’interno di questo progetto sostituendo Enrico Fink. Mi sono affezionato ad alcuni di questi canti e “Mipney Ma” mi ha sempre colpito per le sue parole oltre che per la melodia. Il testo dice più o meno: “Perchè l’anima dell’uomo è caduta così in basso? Perchè le più grandi cadute sono preludio alle più grandi ascese”. Durante le registrazioni di “Vietato Morire” ho canticchiato involontariamente il brano durante una pausa… quelle cose che si fanno senza pensarci, magari arrotolando dei cavi. Matteo Buzzanca mi ha provato a seguire al piano e ci siamo guardati soddisfatti: sembrava adatta a finire nel disco e le parole erano particolarmente calzanti con il resto delle liriche.
Non posso non chiederti qualcosa su Ungaretti. Musicare “Il Porto Sepolto” è stato davvero coraggioso. Non hai pensato di disturbare qualche cultore del poeta?
Si, l’ho pensato. Temevo di rovinare qualcosa di bello. Franco di Francescantonio, che è stato uno dei più grandi del nostro teatro, mi aveva commissionato una poesia a mia scelta da musicare per un suo spettacolo. La mia scelta è caduta su “Vanità” di Ungaretti. Probabilmente senza quella commissione non avrei mai avuto il coraggio di provarci. Da lì sono poi nate tutte le altre. Spero di aver trattato la poesia di Ungaretti con i guanti e di aver lavorato al completo servizio della parola. Il canto può diventare un nuovo veicolo per portare la poesia a chi non la conosce o la considera qualcosa di noioso o legato al passato.
Cosa ti avvicina a lui? L’importanza ed il peso della parola?
Il peso della parola di Ungaretti è quello del macigno che sa librarsi leggero come una piuma. E’ questo che mi ha sempre attratto e che mi piacerebbe saper trasportare nelle mie canzoni.
Tu hai studiato cinema d’animazione. Quanto questa formazione si rovescia nella tua maniera di scrivere?
Moltissimo! Infatti quando scrivo ragiono sempre per immagini. Una canzone la penso sempre come un film, se la musica non mi fa scaturire delle immagini , le parole non nascono. Sai come faccio per capire se una canzone è riuscita come volevo? Salgo in auto e la metto nello stereo, se tutto quello che vedo fuori dal vetro diventa “film” la canzone va bene… altrimenti non ha valore. Insomma, una canzone la vivo sempre come una colonna sonora che deve essere in grado di adagiarsi sul quotidiano e farlo diventare speciale.
Ti senti un musicista notturno o solare?
Più notturno… forse perché la notte si presta maggiormente ad ascoltarsi.
Pensi che il cantautorato italiano abbia perso un po’ di “sostanza sociale” rispetto ai ‘60/’70?
Si, sicuramente l’ha persa. La canzone rappresenta sempre il nostro vivere e il nostro vivere è troppo disimpegnato oggi perchè il cantautore sia impegnato nel sociale. Ripeto, oggi abbiamo poche cose da difendere… solo avere la pancia piena rientra nelle nostre preoccupazioni. E’ ovvio che ci sono le eccezioni… più di una.
Cosa ti ha colpito di più del lavoro di Fantoni nelle chitarre dei tuoi lavori?
Fantoni è un grande chitarrista che sa suonare da non chitarrista e questo lo sanno fare in pochi. Sa staccarsi dal proprio strumento per adoperarlo in modo assolutamente creativo.
Quali saranno le tue prossime “mosse”?
He he he, non lo so. In quanto a mosse sono un disastro, azzecco solo quelle sbagliate. Comunque sto lavorando a nuovi brani e ad un nuovo spettacolo che debutterà l’estate prossima molto impegnativo, a metà tra il teatro e musica. Non dico nulla, siamo ancora nelle fasi preliminari… spero possa andare in porto per come si prospetta.
Domanda di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Un insetticida per cimici…
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra