A sentire i brani, nessuno si azzarderebbe solo a pensare che il progetto Bologna Violenta faccia capo ad un singolo elemento. Troppo complesso il suono, troppo violento l’incedere per essere opera di un’unica persona. La realtà, invece, è che Bologna Violenta è Nicola Manzan e viceversa. Già collaboratore di numerose realtà indipendenti italiane (Il Teatro Degli Orrori, Baustelle, Non Voglio Che Clara, etc.), Manzan s’è ritagliato il suo spazio da solista, fra grind, metal ed elettronica, passando per i poliziotteschi italiani degli anni ’70 e la musica classica. Il Cibicida ha sentito Manzan per farsi spiegare Bologna Violenta.
Cercavo un titolo per il disco che stavo facendo, che era qualcosa di fondamentalmente violento e hardcore negli intenti. Mi piaceva l’idea di omaggiare la città che mi stava ospitando e che rappresentava per me lo scontro frontale con una realtà che era ben lontana dai miei sogni. Volevo che ci fosse anche un richiamo a un certo modo di fare cinema in Italia, quello in cui erano le idee e non i mezzi a caratterizzare il risultato finale. Immediatamente ho pensato ai poliziotteschi, film nei quali convergono tutte le caratteristiche che cercavo: la dura realtà fatta di violenza (non solo fisica) contestualizzata in una città ben precisa. Alla fine mi sono accorto che il titolo del disco rappresentava bene non solo i pezzi in esso contenuti, ma anche in generale lo spirito che caratterizzava il progetto, quindi ho pensato di usarlo come pseudonimo per i miei lavori da solista.
La copertina de “Il Nuovissimo Mondo” è semplicemente un necrologio. Perché?
Perché rappresenta la fine dell’essere umano in quanto essere “civile e pensante”. Ho usato un necrologio perché nel disco si parla del declino e della triste sorte del genere umano, quindi una specie di monito, perché forse siamo veramente destinati a soccombere. Ho messo una mia foto, ma poteva esserci la foto di chiunque, la faccia di una società delusa e succube, che non riesce a reagire e a sfuggire a un destino che sembra già scritto.
E’ difficile definire la tua musica. Forse è più semplice se sei tu ad elencare le tue fonti d’ispirazione…
Le mie fonti d’ispirazione sono molteplici. Sono diplomato in violino, ho suonato per molti anni musica classica con formazioni varie, dal duo da camera all’orchestra sinfonica, quindi sono ovviamente influenzato da un certo tipo di scrittura “dotta”. Allo stesso tempo, però, ho sempre coltivato una grande passione per la musica estrema in generale, con un occhio di riguardo alla scena hardcore italiana (Negazione e Indigesti su tutti) in cui era il contenuto ad essere importante, più che la forma. Ciò che traspare è il disagio, il sentirsi lontani dal mondo che ci circonda, e quindi il bisogno di urlare per farsi sentire. Ecco, in generale non m’interessa il genere che un gruppo suona, mi piacciono i dischi fatti col cuore, quelli che emozionano, che fanno pensare, che non sono “confezionati per essere venduti”, perché in questo caso raramente sono le emozioni a essere messe in primo piano.
I tuoi brani sono tutti brevissimi. Quanto tempo ti è occorso per comporli?
Non c’è una regola fissa. Inizialmente, quando ho fatto il primo cd-r, mi ero imposto di scrivere e registrare ogni pezzo in massimo tre ore, limite che ho volutamente abbandonato quando ho iniziato a comporre “Il Nuovissimo Mondo”, disco molto più complesso ed elaborato, che ha richiesto parecchi mesi di lavorazione. In genere il germe del brano esce molto velocemente, quindi preso dalla foga cerco di finire tutto il prima possibile per evitare di perdere il senso preciso di quello che sto facendo. Non sono uno di quelli che stanno troppo tempo su un brano prima di considerarlo finito, mi piace sempre pensare che sia il ritratto di un momento, seppur breve, della mia vita.
Dove nasce l’esigenza di una musica così “estrema”?
La musica estrema dà la possibilità di esprimere emozioni molto forti. Si ha la possibilità di lasciare impietrito l’ascoltatore, a volte anche di scavare in profondità. Questo, almeno, è quello che cerco di fare io. Del resto, penso che tutti abbiamo bisogno di essere un po’ “scossi”, credo che sia una necessità dell’essere umano, altrimenti non si spiegherebbe perché la gente fa bungee jumping, o va a vedere film horror al cinema o va allo stadio (giusto per fare tre esempi a caso). L’urlo primordiale che si può sentire nascere dentro se stessi dopo aver provato qualcosa di sconvolgente è forse una delle sensazioni più viscerali che possiamo “sentire” e che raramente riusciamo a esprimere nella vita civile.
Quali sono i brani che preferisci suonare dal vivo?
Sicuramente quelli de “Il Nuovissimo Mondo”. Adoro “Mondo Militia”, “Morte”, “Il trionfo della morte”, “Blue Song” e “La donna nel mondo”, anche se forse una delle mie preferite in assoluto è “Tira la boccia”. In genere cerco di vivermi tutto il concerto al massimo, anche se ovviamente, essendo tutto molto serrato, ogni brano ha una funzione ben precisa all’interno della scaletta (ebbene sì, ci sono anche quelli che mi servono per riprendere fiato).
Quali collaborazioni ti hanno influenzato di più per il progetto Bologna Violenta?
Ogni collaborazione lascia in me dei segni indelebili a livello di gusto e scrittura. Non saprei quale mi ha influenzato di più, anche se mi viene spontaneo pensare che i tour e le collaborazioni più lunghe (vedi con Alessandro Grazian, Full Effect, 4fioriperzoe) mi abbiano insegnato molte cose, soprattutto a livello compositivo. Nell’ultimo anno sono stato in tour con Il Teatro Degli Orrori, cosa che sicuramente si andrà a ripercuotere sui miei prossimi lavori, ho imparato tantissimo, tutto sommato mi si è aperto un mondo, anche se ho sempre suonato noise nella mia vita (senza pensare al fatto che questa collaborazione ha dato molta visibilità al mio progetto personale).
Mai pensato di metterti dietro una videocamera per girare qualcosa di tuo?
Ci penso all’incirca un giorno sì e uno no. Non ho i mezzi e le capacità per farlo, ma mi piacerebbe tantissimo. Sono anni che sogno di fare un documentario estremo, sulla falsariga di “Mondo Cane”, mi piacerebbe anche fare la versione movie del mio disco, ma non so se questo succederà mai. Non m’interessa raccontare storie, non scrivo storie, mi piace raccogliere sensazioni estreme per ributtarle in faccia alla gente; ora lo faccio con la musica, magari un domani lo farò con le immagini. Mai dire mai, come direbbe qualcuno!
Curiosità: ovunque sul web, quando si parla di te, si cita il “Bervismo”. Ci spieghi di che si tratta?
Il Bervismo è un nuovo modo di vedere la vita, in positivo e in negativo, ma più in positivo. Basta coi dogmi, con le leggi inique, non se ne può più di piegare la testa ed accettare il destino che ci viene imposto da chi è più potente di noi. Uno sguardo critico sulla realtà, ecco cos’è il Bervismo, la ricerca di risposte diverse da quelle che siamo abituati a sentirci dare dalla politica e dalla religione. Secondo me potremmo vivere tutti meglio se solo aprissimo gli occhi e “diventassimo uomini tutti quanti”.
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto