Luglio 2006: Emigrati dal Texas alla capitale del mondo, New York, in cerca di valvole di sfogo per la propria musica, i Calla hanno in breve tempo lasciato il segno nell’ambiente underground con quattro album ed una manciata di ep ed altre svariate pubblicazioni dall’indubbio valore. Il Cibicida è lieto di presentare il resoconto della lunga intervista rilasciataci via email da Aurelio Valle, Wayne Magruder e Peter Gannon.
Domanda: Siete nati come studio-band, per iniziare solo in seguito le esibizioni live. In che modo ha influito sulla vostra formazione questa “inversione” delle esperienze rispetto a quanto accade ad altre band?
Aurelio: Le nostre intenzioni, con i primi album dei Calla, erano di sperimentare e vedere dove poteva portare quello che stavamo facendo come The Factory Press. Guardandoci indietro abbiamo cominciato come una live band, evolvendoci poi in una band sperimentale che lentamente, ma con decisione, è tornata ad incorporare molta dell’energia live che eravamo soliti avere. Era inevitabile che ci saremmo evoluti.
Wayne: Quando abbiamo cominciato con i Calla non pensavamo minimamente a suonare la nostra musica dal vivo, così dopo abbiamo dovuto sperimentare molto con il “tradurre” i brani per un formato live. Dopo essere stati in tour ci siamo evoluti radicalmente in qualcosa di più di una live band. Il tipo di canzoni che scrivi come live band cambia.
Peter: Solo con “Collisions” abbiamo cominciato a pensare in termini di live band. E’ stata una sorta di progressione al contrario. Credo che molte band comincino come live band o scrivano canzoni insieme con un approccio “tradizionale”. Per noi questo era un territorio mai calpestato fin dal nostro primo gruppo insieme.
Domanda: I Calla sono originari del Texas, ma newyorkesi d’adozione. Nel componimento dei brani quanto influisce il vostro Stato d’origine e quanto invece la “Grande Mela”?
Aurelio: L’ambiente di un musicista o di un qualsiasi altro artista dovrebbe essere al centro di quello che fa, qualche volta è una decisione consapevole altre volte è per lo più una cosa inconscia. Io sento che il Texas non ci ha lasciati in quello che facciamo. New York è una città che ispira costantemente, dalla musica per le strade alla fumose bettole notturne, New York non invecchia mai.
Wayne: Ogni cosa ed ovunque hai vissuto influenza la tua musica a qualche livello. Per me vivere a NYC mi ha aperto gli occhi ad altre culture e musiche (come l’hip hop ed il dub) ed ha aggiunto molteplici risorse che influenzano il modo in cui mi approccio alla musica, il modo in cui suono la batteria ed uso i campionamenti. Se dovessi generalizzare direi che il Texas è l’influenza che sta alle radici mentre NYC è l’influenza urbana più rumorosa.
Peter: I Calla sono ormai stanziati a NYC da molti anni, ma il Texas ha ancora una impronta culturale che non credo sia facile da scacciare o rinnegare. Io vedo entrambi i posti come due poli opposti, ma mi sento perfettamente a casa in entrambi.
Domanda: Cos’è cambiato per i Calla con il passaggio alla Beggars Banquet?
Aurelio: Abbiamo avuto una piattaforma più grande su cui lavorare.
Wayne: Una migliore distribuzione ed una “casa” per i Calla.
Peter: La reputazione della Beggars si adatta perfettamente ai Calla. E’ piacevole essere allo stesso livello di band come Cocteau Twins, Love And Rockets e Pixies. Eravamo tutti fan di questa musica.
Domanda: In studio di registrazione per i Calla prevale la vena sperimentale o quella melodica e cantautoriale?
Aurelio: E’ sicuramente una combinazione. Puoi spezzarla per quello che stai facendo in un brano in particolare, i piccoli dettagli che possono rendere tutto sia ritmicamente melodico che solo sperimentale. Questi dettagli sono tutti essenziali per fare un album.
Wayne: Penso debba essere una combinazione di entrambe. Nonostante noi cerchiamo di sfidare noi stessi, sia con la stesura dei testi che con le strutture o con la melodia, la cosa più importante è giungere ad un’emozione.
Peter: Noi cerchiamo di non porci nessuna limitazione o confine del suono, ma fondamentalmente vogliamo avere un buon songwriting.
Domanda: Potete spiegarci il titolo del vostro ultimo album “Collisions”?
Aurelio: Stavo cercando una parola che potesse riassumere tutto. Mentre ero seduto al bar, ho guardato fuori ed ho visto un garage dall’altro lato della strada la cui insegna diceva “collision repairs”. Era carino, molto immediato, ed era un ottimo riferimento per la nostra esperienza mentre registravamo l’album.
Wayne: Stavamo avendo una serie di conflitti con il management, con l’etichetta e fra noi stessi. Una “collisione” di interessi.
Domanda: I vostri precedenti album sono prevalentemente strumentali, le parti vocali sono ridotte al minimo, mentre invece in “Collisions”, e già prima in “Televise”, vi è una maggiore presenza della voce. A cosa è dovuto ciò? E’ stata una scelta precisa o vi siete semplicemente evoluti in questo senso?
Aurelio: Ho passato dei momenti duri con i primi album, perchè non mi ero mai considerato un cantante, anche perchè originariamente nasco come chitarrista. Così nel corso dei nostri tour, ed incidendo gli album, era ovvio lavorare sopra questo aspetto e scegliere se farlo o stare zitto.
Wayne: Aurelio alla fine, nel corso degli anni, ha costruito una forte confidenza con il canto e con il suonare dal vivo. La vedo come una naturale evoluzione di album in album.
Domanda: Credete che l’apporto di Michael Gira in “Scavengers” vi abbia aiutati a crescere artisticamente parlando?
Wayne: Si, credo che ogni volta che registriamo un album in qualche modo cresciamo. Michael ci ha aiutati molto con le parti vocali e le chitarre. Alla fine ha rispettato il modo in cui lavoriamo come band, e si è fidato delle nostre decisioni artistiche. La sua fiducia è stata per noi, a quei tempi giovane band, un grande incoraggiamento.
Domanda: Avete mai pensato di riproporre un vostro album in veste totalmente acustica?
Wayne: Ci abbiamo pensato. Abbiamo già dei bootlegs di nostri brani registrati durante concerti acustici.
Peter: Abbiamo fatto un ep dal vivo di materiale acustico. Questo ep ci ha resi consapevoli del fatto che, scavando negli strati più sotterranei della canzone, puoi avere comunque un brano solido.
Domanda: Quale credete sia il remix migliore fra quelli contenuti in “Custom”?
Wayne: Preferisco il remix di I-Sound.
Aurelio: Quello di I-Sound, concordo. “Custom” non sarebbe dovuto essere un album intero, all’inizio avevamo intenzione di pubblicare un 12 inch da tre canzoni, con I-Sound, Calla e Windsor For The Derby. Il brano di Datach’i era anch’esso interessante, anche se lo ritenevo dispersivo.
Domanda: Se poteste scegliere un brano da “rubare” ad un altro artista per farlo vostro, quale scegliereste?
Aurelio: “Porpoise Song” dei The Monkees.
Wayne: “On The Beach” di Neil Young.
Peter: “Ain’t No Sunshine” di Bill Wither.
Domanda: Domanda di rito: se vi dico Cibicida cosa vi viene in mente?
Aurelio: Una parola straniera per dire “barracuda”.
Wayne: Un bulldogs!
Peter: Una canzone dei Pixies.
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto