17-01-08: In occasione della tappa catanese del tour a supporto de “La quinta stagione”, il suo ultimo lavoro in studio, Il Cibicida (in collaborazione con Radio Zammù) ha raggiunto telefonicamente Cristina Donà, cantautrice fra le più dotate del panorama italiano. Il nuovo album ed i suoi significati, le molteplici collaborazioni avute nel corso della sua carriera ed uno sguardo ad aspetti più “tecnici”, sono gli argomenti della nostra chiacchierata con Cristina.
Cristina: “La quinta stagione”, questo è il titolo del mio ultimo album, è uscito il 7 Settembre del 2007. E’ un lavoro speciale – come credo un po’ tutti gli album che ogni artista realizza – però mi suona come un nuovo inizio, l’inizio di un nuovo percorso, legato a nuove sonorità ed a una voglia di legarsi un pochino di più alla forma canzone, quella che comunque mi appartiene da anni ma che avevo in qualche modo evitato sino ad ora. E’ un album molto legato ai sentimenti, come spesso succede nel caso dei miei album, però in questo caso forse ancora di più, ed è un album che in qualche modo esprime sia una volontà di cambiamento che di forza, una visione dall’alto delle cose in modo che si possa valutare il da farsi e poi procedere con convinzione. Questo è quello che ho cercato di raccontare nelle diverse canzoni de “La quinta stagione”.
Domanda: La copertina dell’album, con questa tua foto col collo molto lungo, un po’ alla Modigliani, ha qualcosa a che vedere con i testi, con il significato intimistico dell’album oppure è una foto che hai scelto semplicemente perché ti piaceva?
Cristina: Io amo sempre collegare, magari con dei significati reconditi, tutto ciò che faccio. La copertina parte da un’idea nata anche per caso, spesso succede così. Durante il servizio fotografico per l’album si parlava appunto di Modigliani, dei miei trascorsi artistici, perché ho fatto il liceo artistico e l’Accademia. Ho scelto di fare il liceo artistico proprio perché durante una lezione di educazione artistica ho fatto un disegno che somigliava un po’ a quelli di Modiglioni, anche se all’epoca non lo conoscevo affatto. Io ho il collo un po’ lungo, non più lungo della norma ma un po’ più lungo, per cui ognuno di noi è abituato a rappresentare le figure umane su modello di se stessi. Da lì è nata questa idea di allungare il collo per avvicinarci all’idea modiglianesca. Nelle varie sfumature delle canzoni ci sono questi riferimenti alla voglia di guardare avanti, di guardare le cose dall’alto, per renderle un po’ più distanti e quindi comprensibili, motivo rappresentato non tanto da questo collo lungo quanto dalla figura in sé, con questa coda un po’ da samurai giapponese che rende l’idea del guerriero, perché per affrontare il futuro con forza a volte ci si sente un po’ come guerrieri che affrontano la giornata.
Domanda: Hai pubblicato il tuo precedente album “Dove sei tu” anche in versione inglese, anticipando l’esperienza del tuo amico Manuel Agnelli con gli Afterhours. Quale è stato il responso, sia commerciale che di critica, fuori dall’Italia?
Cristina: Parto dal secondo aspetto che è quello sul quale sono più informata: il responso è stato abbastanza sorprendente, soprattutto in un paese come l’Inghilterra che ha un po’ di diffidenza nei confronti un po’ di tutti, ma in particolar modo rispetto a degli italiani che si mettono a cantare in inglese, visto che non è una lingua che mastichiamo proprio benissimo. Proprio in Inghilterra ho avuto dei riconoscimenti molto gratificanti, perché Mojo, uno dei mensili musicali inglesi più importanti, ha dato al mio disco quattro stelle, facendo una recensione meravigliosa. Anche Down Beat, un magazine americano che parla di jazz, l’ha recensito molto bene, ed ho avuto la possibilità di suonare addirittura alla BBC, a “London Live”, facendo un paio di brani dal vivo in questa trasmissione che va ad orari di punta. Quindi delle soddisfazioni molto grandi per me. Per quanto riguarda le vendite non penso di aver venduto granché, però abbiamo seminato bene. Un’altra cosa molto importante, che stavo per dimenticare, è stata la campagna di una ditta di abbigliamento norvegese, Cubus, che ha usato “Triathlon”, la versione inglese, per la sua campagna di sei mesi sulle reti principali di Norvegia, Lituania, Germania e Svezia. Non ho i numeri ufficiali delle vendite, ma la semina è stata comunque molto buona, tanto è vero che voglio continuare per questa strada. Un mio sogno sarebbe pubblicare il mio album in italiano all’estero, purtroppo l’italiano lo parliamo soltanto noi e qualche svizzero, quindi in futuro spero di riuscire a realizzare di nuovo una versione, magari parzialmente in inglese, che sia fatta per essere pubblicata all’estero.
Domanda: Hai avuto la fortuna e l’onore di collaborare con tante personalità musicali nazionali ed internazionali. Cosa ti hanno lasciato e cosa invece tu hai comunicato a loro?
Cristina: Questa è una domanda per cui si potrebbe scrivere un libro (ride, ndr). Le collaborazioni sono sempre un momento di scambio importante, ma anche di apprendimento e di crescita, perché ti devi sempre confrontare con qualcuno con il quale ti senti in sintonia ma che ha percorso delle strade diverse dalla tua, e lì devi essere disposto a mettere da parte qualcosa, devi essere disposto ad “ascoltare”, è questa la cosa fondamentale per rendere efficace questo tipo di scambio. La prima persona che mi viene in mente è Robert Wyatt, anche per una sorta di graduatoria di anzianità e di importanza nel mondo della musica mondiale. Fondamentali sono stati i miei incontri con Manuel Agnelli degli Afterhours, e prima ancora quello con mio marito, Davide Sapienza, che non è un musicista però è come se lo fosse, perché la sua influenza ed il suo aiuto sono stati fondamentali. Io mi diverto sempre molto nel momento dello scambio, mi piace partecipare anche a progetti come “Stazioni Lunari”, dove sul palco di alternano diversi artisti ogni volta. Credo sia sempre un momento di crescita, forse perché da piccola tendevo più ad isolarmi, e forse la massima espressione di Cristina nella comunità è avvenuta proprio grazie alla musica.
Domanda: Cosa chiedi di solito ai produttori per valorizzare la tua musica?
Cristina: Innanzitutto la mia consapevolezza è cresciuta, quindi all’inizio mi lasciavo un po’ guidare, mi frenavo per una mancanza di conoscenza delle cose. In generale cerco di raggiungere un accordo stilistico per riuscire a valorizzare sia la canzone che la mia voce, e le idee che portano i musicisti. Tante volte chiedo loro delle idee perché, proprio per il fatto che da un pezzo chitarra e voce può uscire fuori qualsiasi cosa, nella mia mente c’è una grande confusione, a volte so esattamente dove voglio andare altre volte non lo so affatto. Per me il produttore è importante per questo, perchè ha una visione dall’alto delle cose che magari l’autore non può avere perché troppo vicino e attaccato alle cose che scrive.
Domanda: Una domanda di quelle che “infastidiscono” gli artisti: dal punto di vista strettamente lavorativo cosa è cambiato col passaggio dalla Mescal, regina delle etichette indipendenti in Italia, alla Emi, una major a livello mondiale?
Cristina: Innanzitutto penso che questi cambiamenti infastidiscano più gli ascoltatori, gli utenti, di quanto non infastidiscano gli artisti, perchè altrimenti non avrebbero scelto di cambiare. Io sono passata dalla Mescal alla Emi consigliata dalle stessa Mescal, che purtroppo non è quasi più un’etichetta discografica, ha venduto il suo catalogo alla Emi, che ha richiesto degli artisti della Mescal e tra questi c’ero io. Abbiamo parlato a lungo io e le persone che hanno lavorato a lungo, per dieci anni, con me alla Mescal, ed abbiamo deciso di fare questo passo, anche se ancora oggi io lavoro con Mescal come management. E’ stata dura, nonostante devo dire di aver trovato alla Emi un ambiente che non mi aspettavo, in positivo, perché c’è stato un grosso ricambio generazionale, ho a che fare con persone giovani che hanno un grande entusiasmo, tutta gente che pur non essendo agli inizi ha ancora tanta voglia di fare. A parte questo piacevole incontro, lasciare la Mescal come etichetta è stato un colpo duro, perché mi ha accompagnata dagli inizi sino ad ora, ed insieme abbiamo fatto tanta strada superando tantissime difficoltà. Ma la vita è fatta anche di queste cose.
Domanda: Come è nata la pubblicazione del tuo libro “Appena sotto le nuvole”? Trovi anche l’ispirazione per darti alla letteratura…
Cristina: Assolutamente no (ride, ndr). Devo dire che è un libro del quale sono molto orgogliosa, perché mi piace proprio come oggetto, perché ha dentro una parte di Cristina che magari nei dischi non esce, che è quella legata ai piccoli disegni e alle fotografie. E’ un libro nato da una idea di Michele Monina, diventato col tempo un mio carissimo amico, uno scrittore e giornalista che si è occupato di una collana per Mondadori che voleva raccogliere gli scritti di musicisti ed autori, ed al quale io ho proposto di pubblicare tutte quelle cose che non avevo usato per le canzoni, piccoli racconti, poesie, materiale che a me serve scrivere per poi avere a disposizione delle parole sparse e pensieri che accumulo nel corso degli anni, ed è quello che ho raccolto nel libro. L’idea di darmi alla letteratura in senso stretto, scrivendo un romanzo, non mi appartiene, perché non credo di esserne in grado e lo lascio fare a chi invece ne sa più di me. E’ una cosa che per me ricorda il meccanismo dello scrivere canzoni, anche se non lo sono.
* Foto d’archivio
A cura di Emanuele Brunetto