05-09-06: “Hallo?”. Dall’altra parte del telefono c’è lui, Diego Mancino, uno dei cantautori più interessanti che l’attuale panorama musicale italiano è in grado di offrire, capace di conquistare col suo ultimo album, “Cose Che Cambiano Tutto”, la tribuna d’onore nel cuore di ciascun suo ascoltatore. Nel corso della nostra conversazione Diego ci parla dei suoi testi, dell’amore che nutre nei confronti di Catania e della sua recente collaborazione con Fabri Fibra, il tutto senza guardare mai le lancette dell’orologio che nel frattempo corrono veloci…
Domanda: Perdonami, ma questo è il classico caso in cui la curiosità di chi intervista prevale su tutto (scatta la risata, ndr)… puoi parlarmi del testo di “Diavolo dove sei?”?
Diego: “Diavolo dove sei?” parla di una sfida, la mia, nel tentativo di combattere e sfatare una paura personale. Mi rivolgo a lei come a dirle: “attenta, io ti conosco, so chi sei e posso sopravvivere a te!”. Chiaramente, quello del testo è un diavolo spogliato da qualsiasi significato mistico/esoterico – me ne guarderei bene dallo scrivere una nenia satanica (ride, ndr) – che rappresenta, per intenderci, l’idea astratta che si può avere del “grande buio”. L’ho incominciata a scrivere a Milano per poi completarla definitivamente a Catania. Inizialmente non doveva neppure finirci sul disco poi, però, Daniele Grasso mi ha fatto capire che non includerla sarebbe stata una vera follia, ed eccola lì.
Diego: Forse perché a volte abbiamo davvero il timore di conoscere ciò che significa doverle scoprire. Tornando al brano, posso dirti che “Cose che cambiano tutto” è la sintesi perfetta del profondo rapporto che lega quelli che sono i due temi conduttori dell’album: l’amore e la paura.
Domanda: Che cosa ha offerto una città come Catania a Diego Mancino?
Diego: Catania per me è come una seconda casa. Non è un caso se ogniqualvolta che ho un attimo di tregua mollo tutto, prendo il primo aereo e scendo giù a trovare i miei cari amici siciliani. E’ una città frizzante che non dorme mai, dove musica e musicisti possono ancora trovare un ambiente ideale e realmente accogliente. Sotto un punto di vista professionale, poi, Catania mi ha dato la possibilità di lavorare con una persona straordinaria come Daniele Grasso con il quale ho registrato “Cose Che Cambiano Tutto” nel suo ormai leggendario Cave Studio.
Domanda: E’ corretto definire la tua musica come “una deliziosa confusion of styles” tra pop e cantautorato?
Diego: Beh, direi di sì. In parte il tutto è dovuto a quelli che sono stati i miei ascolti adolescenziali ed a ciò che mio padre suonava con la sua orchestra. Io inizialmente, vuoi per un discorso di carattere squisitamente “generazionale/conflittuale”, consideravo queste sonorità – che avevano il volto di Mina, Gino Paoli e Luigi Tenco – mie nemiche, e preferivo di gran lunga chiudermi nella mia stanza ad ascoltare i Joy Division piuttosto che i Bauhaus o i Cure. Poi, col passare degli anni, mi sono reso conto che queste melodie facevano parte del mio dna ed alla fine sono venute fuori. Io amo definirmi un cantautore d’estrazione nazionalpopolare – nell’eccezione migliore del termine – che però, nello scrivere le sue canzoni, utilizza la formula punk del ritornello “alla Ramones”…
Domanda: Oggi, a distanza di cinque anni, che peso dai all’album “Piume”?
Diego: Lo considero un vero e proprio trait d’union tra ciò che ho fatto, da un percorso non ben definito ad un qualcosa di più preciso. E’ stata anche un’ottima occasione per fare musica con degli amici come Sergio “Tanica” Conforti, Lorenzo Corti, Ivan Ciccarelli e Dado Neri. E’ bastato dire: “vi va di suonare qualche ora con me?”.
Domanda: Ha ancora senso operare una distinzione che vede il mondo delle major opposto a quello delle etichette indipendenti?
Diego: Io ho trentasei anni, faccio dischi da quando ne ho diciassette e penso di aver maturato una mia personalissima convinzione su come funzioni il mercato discografico italiano, e ti dirò che ciò che conta è avere il pieno controllo di quello che si fa. Sia nell’uno come nell’altro ambiente, puoi trovare persone valide e capaci, in grado di fare bene il loro mestiere, rispettando l’artista e fornendogli tutto l’appoggio necessario. Quindi, non è tanto una questione di “dove” ti trovi, quanto “con” chi. Poi ci può essere l’apparizione promozionale alla tv, la partecipazione al Festivalbar e tutto quello che vuoi tu… l’importante è che la tua attività di musicista non si riduca a fare “solo” questo.
Domanda: Capitolo Fabri Fibra… com’è nata la vostra collaborazione?
Diego: Da una profonda stima reciproca. Prima ci siamo sentiti per telefono, poi ci siamo incontrati e ne è venuta fuori una canzone come “Idee Stupide”. E’ una collaborazione figlia di un’esigenza, quella di confrontarsi con un qualcosa che sia lontano da ciò che faccio. Sono più che convinto che il nome di Fibra, a differenza di altri, è uno di quelli destinato a restare impressi nel tempo. E ti dirò di più: trovo che il suo album, “Tradimento”, abbia più affinità col punk che con l’hip hop, basta andare a leggere i testi.
Domanda: C’è stato anche un altro side project, non è vero?
Diego: Si, ho scritto un brano, “Milano e l’impossibile”, per la compilation curata da Alessio Bertallot, “Berlattosophie: Altrisuoni”. Diciotto brani di altrettanti artisti diversi – trai quali Casino Royale, Riccardo Sinigallia e Ivan Segreto – che raccontano in modo diverso la musica italiana di oggi. Si tratta di una raccolta interessantissima che consiglio a tutti di ascoltare.
Domanda: Il tuo prossimo passo?
Diego: Difficile dirlo adesso. Ho da poco sciolto il contratto che mi legava alla Sony, per una scelta personale, e sono in cerca di un nuovo tour manager. E’ una fase d’assestamento nella quale sono chiamato a riflettere attentamente su ogni mia singola scelta. Di brani nuovi, nel frattempo, ne ho scritti parecchi… staremo a vedere.
Domanda: Ci sarà anche Roberto Dell’Era nel tuo futuro?
Diego: Sicuramente. Roberto non solo è un musicista superlativo ma è anche un mio amico fraterno, ed il fatto che sia stato scelto da Manuel Agnelli per suonare negli Afterhours mi ha letteralmente riempito d’orgoglio.
Domanda: L’Italia è ancora un paese culturalmente stimolante?
Diego: Che le realtà “culturalmente stimolanti” esistano, è un dato inconfutabile. Al contempo, però, esiste un’Italia disinteressata, che non legge e che troppo spesso l’arte, quale che sia la sua forma, la ignora. Si è arrivato al punto che i ragazzini preferiscono acquistare suonerie che dischi, tanto per farti un esempio a me vicino. Io non so come ci siamo arrivati a tutto questo. La politica, la scuola, la televisione… forse. So solo che è ora di issare una muraglia e cercare di cambiare un po’ le cose, partendo proprio da noi stessi: perché di queste cose non ne andiamo a parlare al bar quando siamo con gli amici? Posso capire che affermare una cosa del genere può apparire pretenzioso, ma sarebbe già qualcosa, un segnale. Forse lo è solo per me, che sono ancora dell’idea che il mondo lo salverà un poeta.
Domanda: Domanda di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Diego: Volevo chiedertelo io che cosa significasse…
* Foto d’archivio
A cura di Vittorio Bertone