Dicembre 2006: E’ solo di pochissimi giorni fa l’uscita del debutto discografico dei toscani Dilatazione, ma già il nome di questa band strumentale d’ispirazione cinematografica, battezzata per l’occasione dall’Ulan Bator Amaury Cambuzat, ha toccato le pagine dei maggiori magazine specializzati (tra i quali il nostro), ottenendo quasi all’unanimità voti alti e grandi apprezzamenti. Il Cibicida è, però, voluto andare oltre, andando a bussare alla porta della SlowMotionPinguino, la loro etichetta madre, per un’intervista virtuale con il leader e portavoce Patrizio Gioffredi, ovviamente incentrata sugli spunti di “Too Emotional For Maths”.
Domanda: C’è una sorta di “sceneggiatura” da cui siete partiti per scrivere “Too Emotional For Maths”?
Patrizio: Dietro “Too Emotional For Maths” ci sono innanzitutto le sensazioni del momento, confuse con i ricordi, le immagini dei film amati, la vita di tutti i giorni. Non c’è una sceneggiatura precisa, ma c’è ugualmente un approccio cinematografico nell’estremizzazione e nella drammatizzazione dei sentimenti vissuti.
Patrizio: Prima di cominciare a registrare avevamo in mente di intervenire molto nella fase di post produzione del disco. Ci piaceva l’idea di inserire campionamenti, parti di elettronica, remixare e rielaborare i pezzi. Per una serie di coincidenze ci siamo ritrovati a registrare il disco con Amaury Cambuzat all’Alpha Dept Studio di Bologna che è uno studio ricco di strumentazione analogica. Abbiamo intuito gradualmente che lo studio e la produzione di Amaury ci avrebbero portato completamente su un’altra direzione: abbiamo registrato i singoli strumenti in presa diretta, siamo intervenuti pochissimo in fase di postproduzione, abbiamo limitato l’intervento del missaggio e arricchito il disco con strumenti analogici. E forse quello che è venuto fuori è un disco più onesto, più vero. Suona come un disco degli anni Settanta, anche se la musica è legata ovviamente a sonorità più contemporanee.
Domanda: A quanta improvvisazione vi affidate nel lavoro in studio? A quanta nei live?
Patrizio: In studio improvvisiamo continuamente. I pezzi nascono dall’improvvisazione. E’ la parte del lavoro che ci piace di più. Passare ore alla ricerca del momento in cui gli strumenti suonano all’unisono qualcosa di bello per poi dimenticarlo alla prova successiva!!! Sai quanti brani vanno perduti nel nulla… E’ affascinante pure questo. Dal vivo lasciamo poco spazio all’improvvisazione. Una volta definite in studio le strutture dei brani sono solide e la creatività la esprimiamo piuttosto nella gestione delle dinamiche, nelle sfumature delle singole parti.
Domanda: Quanto pensate sia fertile il mercato italiano per accogliere un disco come il vostro?
Patrizio: In Italia ci sono attualmente grosse difficoltà per la distribuzione e la promozione musicale. E c’è, ad un livello superiore, la mancanza di una cultura politica che sappia intuire le reali potenzialità, sociali ma anche economiche, di un investimento sulle forme artistiche in genere. Continuiamo a importare musica dall’Inghilterra (e spesso è merda) e non riusciamo ad esportare niente, a parte ovviamente Ramazzotti o la Pausini. Per quanto ci riguarda non crediamo di fare musica ostica né incomprensibile. Anche dal vivo la proposta è generalmente ben accolta. In ambito indipendente gli spazi di mercato sono ovviamente pochi, la concorrenza tra band e label agguerrita e pochi sono pure i soldi di chi potrebbe comprarci il disco. Ci siamo buttati nella mischia. La cosa fondamentale è non farsi illusioni: “Too Emotional For Maths” non sarà mai disco di platino.
Domanda: Parlateci di Amaury Cambuzat in “Too Emotional For Maths” e di come si “muove” in sala di registrazione…
Patrizio: Amaury ha ovviamente una grande esperienza in studio alle spalle, sa sfruttare al meglio il tempo a disposizione, ha intuizioni spesso geniali, di quelle che non ti aspetti. Ma quello che più ci ha colpito è l’entusiasmo con cui, per 14 ore al giorno, ha seguito la lavorazione del disco, contribuendo ad arricchirlo con la voce ed ogni strumento che gli capitava sotto mano. E nelle pause della registrazione abbiamo trovato una grande affinità anche da un punto di vista umano ed è nata una bella amicizia.
Domanda: La scelta del nome Dilatazione, raccontatecela…
Patrizio: In un’altra intervista abbiamo dichiarato che era il titolo della nostra prima canzone. Non è del tutto corretto. Il titolo della nostra prima canzone era “Scoppio” che sarebbe stato improponibile come nome di un gruppo! “Dilatazione” era il nome della nostra seconda canzone. Ci piaceva il suono della parola e l’idea della dilatazione visiva.
Domanda: Che dire riguardo la Slow Motion Pinguino, l’etichetta giovanissima che vi produce?
Patrizio: Con alcuni amici (Thomas Ticci, che ci aiuta nella direzione artistica e nella promozione, e Lorenzo Mori, webmaster e programmatore video nei live) avevamo in testa da un po’ di tempo a questa parte di fondare un’etichetta di musica cinematografica/cinefila, per promuovere una collana di “colonne sonore immaginarie”. “Too Emotional For Maths” ci sembrava un buon inizio.
Domanda: Qual è il cinema che più ama una band rock d’ispirazione cinematografica come voi?
Patrizio: Amiamo moltissimo cinema, senza distinzione di generi. Amiamo Bunuel, Billy Wilder, Godard, Buster Keaton, Cassavetes, Kitano, Carpenter, Fassbinder, Lynch, Herzog, Pasolini, Polanski, Woody Allen, De Palma, Romero, Truffaut, Cronenberg, Dario Argento, Mario Bava, Samuel Fuller, Ferreri, Bergman, Kaurismaki, Tim burton, Monteiro, Jodorowski, Orson Welles, Vigo, Van Sant, Russ Meyer, Abel Ferrara, Visconti, Jacques Tati, Tarantino, Chabrol, Rohmer, Roger Corman, Lucio Fulci, George Cukor, i Dardenne, Antonioni, Altman, Chaplin, Kubrick, Hawks, Hitchcock, John Huston, Jim Jarmusch, Bresson, Spielberg, Kurosawa, Leone, Lubitsch, i fratelli Marx, Mankiewicz, Murnau, Sam Peckinpah, Scorsese e la lista potrebbe continuare per molto! In questo disco il riferimento è al cinema francese degli anni ‘60, alla “nouvelle vague”, come nel demo precedente, “Fotogrammi”. Non è escluso che nel prossimo i riferimenti, anche visivi, siano diversi. Anzi, lo saranno sicuramente…
Domanda: Post-rock, pensate di starci dentro?
Patrizio: Quando scriviamo i pezzi non vogliamo assolutamente inquadrarli in un genere. Ci abbandoniamo alla musica e spesso i pezzi si scrivono da soli. In ogni caso, per rispondere alla domanda, dipende ovviamente da cosa si intende per post-rock. Ultimamente il post-rock comunemente inteso sembra quasi limitarsi al rituale: quiete/crescendo emotivo/quiete con variazione/crescendo emotivo più emotivo ancora… Che se il pezzo vuole il crescendo va bene, ma se diventa la norma… Negli anni ‘90 non era certamente così! Il post-rock comunemente inteso era musica prevalentemente strumentale, non necessariamente legata alla forma canzone, elaborata ritmicamente, spesso piena di silenzi. Raccoglieva stimoli dai generi e dagli stili più disparati e dalle altre forme d’arte. C’era un senso di libertà, di “infinite possibilità” che andrebbe recuperato. Il post-rock è un po’ come il comunismo. Una splendida idea/ideologia spesso degenerata, banalizzata, normalizzata. Noi alla fine ci crediamo ancora… E’ diventato una specie di rifugio, quasi masochistico, per inguaribili romantici idealisti e perdenti cronici…
Domanda: Domanda di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Patrizio: Un mostro peloso che ingoia cibo e poi lo espelle dal culo! Non è una bella immagine, però…
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra