Band di base ad Atlanta, Georgia, ma con l’Inghilterra nel cuore, nelle vene e anche nel proprio nome, i Manchester Orchestra di Andy Hull hanno mutato pelle e formazione diverse volte negli ultimi 10 anni, fino ad arrivare a quella attuale con cui sono stati incisi l’ultimo “Cope” e il suo gemello acustico “Hope”. Un progetto ambizioso, questo, che sta cominciando a dare i suoi frutti, tanto che i cinque stanno per imbarcarsi nel loro primo tour europeo da headliner. La prima data coinciderà anche con la loro prima volta in Italia, il 19 Agosto al Circolo Magnolia di Milano. Per l’occasione abbiamo scambiato qualche battuta con Tim Very, batterista della band.
Tim, cominciamo dal vostro ultimo disco, “Hope”, ovvero la versione acustica di “Cope”. L’idea di realizzarlo c’era già quando incidevate l’elettrico o è venuta dopo?
Immagino tutto sia iniziato quando Andy ha cominciato a suonare versioni acustiche di “Top Notch”, è stato allora che ci è venuta in mente l’idea di trasformare “Cope” in un disco acustico.
Credi cambi qualcosa, a livello espressivo, quando un brano viene scarnificato? Intendo, tanto nella percezione del pubblico quanto nell’esecuzione.
Credo che cambi molto. È stato divertente portare in tour le canzoni di “Hope” e vedere il pubblico rispondere in maniera così positiva ad un tipo di performance così diversa rispetto a quella rock che proponiamo di solito. Sono grato di stare in una band dove c’è posto per entrambi gli approcci.
Il vostro prossimo album potrà avere una mistione fra acustico ed elettrico? In fondo sono due anime che possono benissimo convivere senza doverle necessariamente affidare a dischi diversi.
Potrebbe decisamente essere così. Non faremo un altro disco come “Cope” o “Hope” nel futuro prossimo, quindi immagino ci possa essere una fusione. Mi sembra ci sia sempre stato un buon equilibrio anche nei precedenti dischi dei Manchester Orchestra.
Facciamo un passo indietro: come credi vi siate evoluti da “I’m Like A Virgin Losing A Child” a oggi? Cosa avete tolto e cosa avete aggiunto al vostro sound?
Beh, di certo molto è cambiato dai tempi di “Virgin”. Mi sono unito alla band durante la scrittura di “Simple Math” (l’album del 2011, ndr), mentre Andy Prince (il bassista, ndr) si è aggregato durante quella di “Cope”. Aggiungere nuovi membri alla sezione ritmica cambia decisamente le cose, sia sui dischi che durante i concerti.
Il brit rock e l’alternative americano degli anni ’90, due dimensioni che convivono nella vostra musica fin dagli esordi. Senti che prima o poi una riuscirà a prevalere sull’altra?
La musica sembra essere ciclica. Quando un tipo di suono scompare, qualcuno cercherà sempre di ringiovanirlo per capitalizzare su di esso.
Fra poco sarete qui in Italia per la prima volta. Cosa significa l’Europa per una band americana come la vostra che ha tratto grosse influenze da un mondo musicale molto diverso come quello del Vecchio Continente?
È un privilegio viaggiare in posti nuovi per suonare. Avere persone, anche in un altro continente, che apprezzano la nostra band e vogliono che andiamo lì a esibirci è incredibile. Dobbiamo ancora visitare molti posti in Europa, ma sembra che non importi dove tu vada, la musica unisce le persone. Probabilmente dovrei comprare una macchina fotografica…
Concluderete questo vostro tour europeo al Reading… beh, mica male come punto d’arrivo, no?
Reading è un festival leggendario e sono molto contento di avere la possibilità di esserci quest’anno. E sì, è decisamente un modo fantastico per concludere un tour europeo!