Dieci anni di Motel Connection. Dieci anni di Samuel (già vocalist dei Subsonica), Dj Pisti e Pierfunk. Una band che ha contribuito a portare in Italia il concetto di musica ibridata (rock, techno, dance, elettronica) alla maniera di altre scene europee. I Motel però non sono solo dei musicisti e dei dj. A loro piace andare più in là sperimentando nuovi linguaggi e cercando di essere quanto più possibile “avamposto anarchico”. Una libertà che diventa anche condivisione nell’ultimo tassello della loro storia: si chiama “H.E.R.O.I.N.” ed è un progetto di network creativo avviato mesi fa e che trova compimento nel disco omonimo prodotto con la collaborazione di Stefano Fontana. Ne abbiamo discusso con Dj Pisti.
Partiamo da “H.E.R.O.I.N.”, un progetto che va oltre la musica?
“H.E.R.O.I.N.” è l’acronimo di Human Environmental Return of Output/Input Network ed è un progetto che stiamo seguendo con il Professor Bistagnino del Politecnico di Torino e che riguarda l’idea delle reti sistemiche. Cosa sono? Semplicissimo: uno scarto di una persona può essere un importante sostegno per un’altra. Uno scarto degli alberi è ciò che noi respiriamo. Bene, all’interno di questi input e output tra le persone c’è anche la creatività. Il nostro sito così s’è fatto “creative network” con l’obiettivo di far compiere a tutti un gesto creativo che arricchisca gli altri. Perché la creatività di una persona è il pane per tutti. Sono arrivati dei progetti interessantissimi, siamo contenti del risultato.
In questo modo cade il muro tra artista e pubblico…
Per quanto riguarda i Motel Connection non c’è mai stato nessun muro. Io sono una persona a cui piace andare a ballare, divertirsi. Io sono pubblico innanzi tutto. Con questo progetto c’è uno scambio vero, una rete creativa che funziona, è stimolante.
Immaginiamo che il web sia stato decisivo per realizzarlo. Alcuni artisti però si sentono ancora minacciati dal downloading e dalla “musica liberata”…
Trovo il downloading molto stimolante, mi piace l’idea, ma non sono capace a usare quel mezzo perché abituato ad avere un rapporto strettissimo col negozio di dischi. Io la musica la voglio possedere, farla mia. Certo magari il ragazzo di 18 anni faticherà all’idea di pagare per la musica. Che dire, ci vuole una riforma? Non so. Davvero non riesco a mettermi alla sfera di cristallo.
Intanto i supporti per l’ascolto sono completamente mutati…
Parli con un dj che ha a casa più di 25.000 vinili e che tutt’ora compra vinili. Perché lo faccio? Perché la musica mi piace ascoltarla su quel supporto prezioso, artigianale e sono contento di dare il mio denaro a chi lo fa. Parlando di supporti, il CD è finito prima di iniziare, è un oggetto molto costoso oltre che inquinante. Semmai la vera rivoluzione digitale si chiama chiavetta usb, un mezzo interessante per scambiare dati. Però devo dire di essere contento per questo sviluppo tecnologico. Mi piace che la musica si possa usufruire dappertutto, sul telefono, sul pc. Mi piace la diffusione capillare della musica, soprattutto in un paese come Italia in cui l’hanno tolta dalle scuole. Sul futuro della discografia in generale non mi voglio neanche pronunciare. Vivo una realtà troppo più piccola. Io e Samuel abbiamo due piccole etichette techno e house con una nostra discografia artigianale che funziona, viene distribuita in tutto il mondo, e che ci diverte fare. Basta così.
Passiamo al disco. Il disegno in copertina è un astratto che sembra sintetizzare la musica dei Motel: fusion di generi…
Sì è opera dell’artista Tomokazu Matsuyama, un nostro amico giapponese. Ci ripete spesso che il nome Motel Connection, con tutto il significato che c’è dentro, gli ricorda la sua Tokyo.
Il materiale sonoro è passato dalle mani di Stefano Fontana. Cosa vi ha dato come producer?
Stefano ha lavorato benissimo. Ha dato molto al disco assecondando la nostra voglia essere liberi. Il fatto è che quando lavori nell’elettronica, cerchi certi suoni che è difficile da imprimere. Davvero faticoso! La voce di Samuel ad esempio, è stato Stefano a legarla bene in tutti i suoi campioni. Poi certo l’apporto più evidente del suo lavoro lo ha dato nella pulizia delle tracce: i musicisti quando scrivono un disco si affezionano a tutti i brandelli di musica, poi invece tocca al produttore tagliare il superfluo e valorizzarne la compattezza. Il merito è doppio se si considera che “H.E.R.O.I.N.” è un disco in cui convivono generi diversissimi quali l’hip hop, l’elettronica, l’acid house. D’altra parte Stefano conosce il linguaggio di questa musica, con gli Stylophonic ha detto la sua in Inghilterra e in Francia.
A proposito di linguaggio internazionale, “H.E.R.O.I.N.” avrà una distribuzione ampia?
Sì, in alcuni luoghi arriverà sotto forma di tape che verranno remixati dai dj. Poi c’è la distribuzione dell’intero disco che in questo momento sta riscontrando un buon interesse. Il sogno è sbarcare in Giappone, sarebbe magnifico andarci a suonare.
Avete iniziato dieci anni fa con una mistione musicale inedita in Italia. E’ stato difficile creare un pubblico?
Ma sai, noi siamo partiti da una città come Torino in cui si ascoltava molta techno, quindi al pubblico veniva abbastanza naturale venirci ad ascoltare. Magari all’inizio davamo un effetto straniante: un po’ rock, un po’ dance, un po’ club, un po’ disco. Però insomma alla fine la gente ballava e si divertiva. Oggi l’Italia ha maturato quel tipo di cultura che, sì, è meno diffusa che in altre parti d’Europa, ma che contiene alcune assolute eccellenze: vedi i Crookers o i Bloody Beetroots, grandi maestri dell’elettronica dance.
I Motel Connection sono nati cavalcando il cinema. Avete in progetto nuove sonorizzazioni?
Non per il futuro prossimo, ma ci auguriamo ce ne saranno ancora. Il lavoro per “Santa Maradona” e “A/R Andata + Ritorno” di Marco Ponti è stati molto divertente, ma faticoso. Ci ha molto aiutato e ci ha dato esperienza.
Torino è ancora la città stimolante di dieci anni fa?
Questa domanda dovresti farla a un ragazzo che ha 27 anni. Io ne ho 37, sono passati dieci anni e non riesco più a capire se è una città fertile culturalmente o no. Noi, certo, siamo stati fortunati a vivere quel momento eccezionale che arrivava dopo gli anni ‘80, dopo che le Olimpiadi invernali avevano portato un milione di stranieri in una città di un milione di abitanti. In quel periodo Torino è rinata, s’è ricostruita. Oggi vive una fase più dura per via del debito pubblico figlio proprio di quel momento d’entusiasmo. Ma comunque mi pare una condizione generale dell’Italia.