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Port-Royal – “Musica di confine”

Maggio 2006: Band rivelazione del made in Italy 2005 con il loro apprezzatissimo “Flares”, i genovesi Port-Royal sono una delle band italiane più apprezzate al di fuori dei nostri confini. Il Cibicida ha rivolto le sue domande ad Attilio Buzzone, chitarrista e fondatore della band: il contratto con la Resonant e il relativo rapporto col mercato estero, la definizione di post-rock e i progetti futuri sono alcuni degli argomenti trattati.

Domanda: La Resonant è una importante label straniera… come si è accorta di voi? Non credete che pubblicare l’album con loro sia stata un po’ la cassa di risonanza, soprattutto a livello internazionale, che una etichetta indipendente italiana difficilmente vi avrebbe potuto garantire?
Attilio: I responsabili della Resonant rimasero molto colpiti da un demo di tre pezzi che spedimmo ad alcune etichette europe circa due anni fa; a quel tempo in effetti stavamo cercando di arrivare ad una pubblicazione internazionale proprio per permettere al nostro lavoro di avere un’eco globale e di non restare rinchiuso entro i confini italiani, cosa che, come dici tu, verosimilmente, accade se pubblichi un disco per un’etichetta nostrana… La Resonant è stata l’opportunità perfetta in questo senso: è una label che ha ormai un certo seguito di affezionati e una crescente credibilità artistica grazie ad un ottimo catalogo di uscite e offre una distribuzione che, pur restando su cifre molto piccole, è mondiale e, in particolare, attenta ad aree cruciali come quella statunitense e giapponese.

Domanda: Dando per scontati gli accostamenti a band come Mogwai, Sigur Ros, Mono ed in genere tutte quelle appartenenti allo stesso filone post-rock, per quanto riguarda invece l’elettronica, di cui fate largo uso, quali sono i gruppi che vi hanno maggiormente influenzato?
Attilio: Per questo aspetto il nostro gusto sul finire degli anni novanta si è formato principalmente attraverso l’ascolto dei dischi di Autechre, Labradford, Third Eye Foundation e Aphex Twin. Più recentemente importanti inputs ci sono arrivati dalle prime pubblicazioni Morr Music e City Centre Office e da progetti come Metamatics, Magnétophone e Xela.

Domanda: Se doveste definire la vostra musica, usereste il termine post-rock?
Attilio: Come giustamente ci fecero notare anche dalla Resonant all’epoca dell’uscita del disco, probabilmente una definizione del genere per un album come Flares è fuorviante, perché rimanda prima di tutto a una struttura di rock strumentale legata al canone del “crescendo” mogwaiano che non trova per nulla riscontro nei nostri pezzi, i quali, invece, più propriamente sono forse da definirsi “musica di confine” (se proprio si vuole dare definizioni e usare etichette), e cioè composizioni aperte e dilatate, in cui si abbracciano elettronica, ambient ed elementi shoegaze.

Domanda: “Flares” è un album che colpisce per la sua lunghezza, caratteristica questa che, per il genere che fate, potrebbe far risultare l’album monotono o eccessivamente annacquato… ma non è il caso vostro. Come siete riusciti ad evitare ciò, riuscendo a mantenere comunque il filo conduttore e la uniformità di fondo?
Attilio: L’uniformità di fondo del disco probabilmente deriva del fatto che quasi 45 minuti di esso sono occupati da sole due “canzoni”, vale a dire dalle trilogie di Zobione e della title track – che abbiamo deciso di suddividere in 3 parti ciascuna per permettere una fruizione più agevole (visto che ciascuna parte pur così scomposta manteneva comunque un senso) – le quali sono sostanzialmente dei corpi unitari. In ogni caso anche gli altri pezzi, per nulla minori (pensiamo soprattutto a Spetsnaz/Paul Leni e a Karola Bloch), si inquadrano benissimo nel mood complessivo di Flares, dando anzi maggior respiro e più varietà al tutto. Quanto al rischio della monotonia, crediamo che la nostra maniera per evitarla stia, da una parte, in una particolare inclinazione compositiva (scriviamo una musica che in partenza ha un intento comunicativo e intende evocare sentimenti attraverso un forte coefficente melodico) e dall’altra in una ricerca stilistica molto rigorosa, attenta ai dettagli e alle variazioni (a volte sottotraccia ma pure essenziali) nelle strutture, nei ritmi o nei timbri.

Domanda: Immagino sia molto difficile riproporre dal vivo la trance strumentale che avvolge le registrazioni in studio. Su cosa puntate, dunque, per non perdere niente dell’impatto sonoro presente su disco?
Attilio: In effetti recuperare l’atmosfera complessiva di Flares suonando su un palco è praticamente impossibile; e per questo nei nostri passati concerti abbiamo sempre ritenuto giusto non restare ingabbiati da questo modello e proporre qualcosa di parzialmente diverso, che avesse più tiro e potenza e fosse più legato alla matrice rock “tradizionale” per batteria chitarre e basso. Negli ultimi mesi invece abbiamo (temporaneamente?) cambiato del tutto rotta, e stiamo presentando un set elettronico con laptop, synth e campionatore in cui remixiamo alcuni brani di Flares in chiave maggiormente elettronica e in cui presentiamo già alcuni pezzi del prossimo disco che stiamo finendo di registrare.

Domanda: La vostra musica ha un non so che di sognante, di immaginifico; ascoltandovi e chiudendo gli occhi si riescono a dipingere nella propria mente paesaggi e ambienti… che rapporto avete con le arti visive ed in particolare con il cinema? Avete mai pensato di accompagnare ciascun brano, o magari una delle vostre “trilogie”, con immagini e filmati?
Attilio: In effetti ci siamo mossi già in questo senso. Al Netmage 2006 di Bologna, lo scorso Gennaio, abbiamo presentato un progetto di collaborazione audiovisiva con Andrea Dojmi (un ottimo visual artist romano, nostro amico à www.aimready.com) che ha avuto un buon riscontro e che stiamo riproponendo anche in altre sedi. Abbiamo anche avuto contatti con alcuni videomaker e registi, sia italiani che stranieri, che si sono offerti di girare filmati di accompagnamento alle nostri canzoni; attualmente al sito www.plexiphonic.com si può vedere il lavoro della arista visiva belga Ewo su Flares pt.3 (il video ufficiale); e altri ne arriveranno nei prossimi mesi, anche dall’America. Ci piacerebbe riuscire a fare un dvd con lavori di questo tipo. In queste settimane poi siamo “in trattative” con un giovane regista inglese per realizzare la colonna sonora del suo primo corto. Tutto questo per dire che questo livello di ricerca artistica ci interessa davvero molto e riteniamo possa essere il completamento ideale per la nostra musica.

Domanda: Il pubblico italiano è per sua natura restio ad un determinato tipo di ascolti… avete notato nel corso degli anni un crescendo della sensibilità nei confronti di gruppi con un sound affine a quello dei Port-Royal o il distacco resta ancora “incolmabile”?
Attilio: Non sapremmo. In generale crediamo che certa musica possa incontrare un po’ ovunque alcune barriere a una fruizione di massa. E’ forse nella natura delle cose; si tratta di ascolti impegnativi che non tutti sono magari disposti a sobbarcarsi. Però potrebbe anche essere, come direbbe Adorno, che se Mtv, per esempio, decidesse di mandare in heavy rotation i nostri pezzi, nel giro di qualche mese avremmo folle di ragazzine urlanti in piazza Duomo disposte a tutto anche solo per vederci a cento metri di distanza e saremmo anche ricchi! Sicuramente molto dipende dai media, ma non così tanto come invece pensava Adorno, il quale sosteneva che sono costoro a stabilire a priori i gusti della gente; secondo noi invece è più una questione di feedback: i media impongono sì un gusto, ma non dal nulla e/o arbitrariamente. Essi rispondono ad un feedback della gente perché sono abili a percepirne il mood dandole in pasto quello che ella vuole… D’altra parte, l’esperienza che abbiamo vissuto in questi mesi ci ha fatto capire che un lavoro come il nostro può venire apprezzato anche da più gente di quella che ci si potrebbe aspettare, e cioè anche da persone non solite a inoltrarsi nei meandri dell’underground e con particolare propensione a certe sonorità “estreme”; in questo senso, forse, si può dire che esiste un mercato potenziale non adeguatamente sfruttato…

Domanda: Pensate di avere ricevuto le giuste attenzioni da parte della critica specializzata italiana, sia su cartaceo che online? O vi siete sentiti “snobbati”? E ancora, il successo all’estero suona un po’ come una rivincita?
Attilio: Forse anche per la suggestione del “gruppo italiano che ha pubblicato in Inghilterra” qui da noi abbiamo ricevuto molta attenzione sia su cartaceo sia in rete: non ci possiamo davvero lamentare. Nessuna rivincita poi, circa il fatto di avere trovato casa alla Resonant; non abbiamo avuto infatti nessun feedback negativo dall’Italia che ci abbia spinto a guardare altrove, perché, sin dall’epoca delle prime registrazioni di quello che sarebbe poi diventato Flares, avevamo ben chiaro in mente che già i primi tentativi di contatti discografici dovevano essere rivolti fuori dell’Italia, per il motivo che ti dicevamo sopra.

Domanda: Credo siate consapevoli di come gran parte della vostra notorietà sia dovuta essenzialmente al download, considerato da molti vostri colleghi il vero “assassino” del mercato discografico. A distanza di parecchi mesi dalla pubblicazione di “Flares”, il vostro bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno?
Attilio: Se ti riferisci ad eventuali guadagni derivanti dalla pubblicazione del disco ti diciamo subito che sono stati praticamente nulli. Qualche soldo arriva solo da alcuni concerti. Al nostro livello comunque il download è per lo più qualcosa di positivo perché è l’unico strumento che possa permettere a molta gente di arrivare a conoscere la nostra musica. Pensiamo anche però che dopo che a questo modo si è “scoperto” un progetto che si ama in modo particolare sia giusto comprare quel disco, per supportare chi con il suo “lavoro” ti ha dato qualcosa. Almeno noi reputiamo sia giusto così e così ci siamo sempre comportati.

Domanda: Cosa bolle nel vostro pentolone? Come suonerà il successore di “Flares”?
Attilio: Il nuovo disco conterrà un maggior numero di canzoni, più brevi, virate quasi definitivamente verso un’elettronica a tratti fin “ballabile” e comunque decisamente ritmata, mantenendo comunque intatta l’anima dilatata e ambientale e fondamentalmente malinconica che è stata alla base dei nostri precedenti lavori. Speriamo che per la fine dell’anno tutto sia pronto per la pubblicazione. Inoltre stiamo lavorando ad un disco di remixes dei brani di Flares cui hanno partecipato alcuni grandi artisti di elettronica e post-rock un po’ da tutto il mondo…

Domanda: Ultima domanda di rito: se ti dico Cibicida cosa ti viene in mente?
Attilio: Tipo un pesticida che viene messo nel mangiare per uccidere qualcuno? O qualcosa/qualcuno che ammazza il cibo???

* Foto d’archivio

A cura di Emanuele Brunetto

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