Aprile 2009: All’inferno e ritorno. Amaury Cambuzat se l’è vista brutta nel periodo che seguì la pubblicazione di “Rodeo Massacre”. Una terribile depressione, “non sapevo cosa volevo e cosa cercavo” – racconta. E così la sua creatura, gli Ulan Bator, frenarono la corsa, sparirono dalla circolazione. Poi la lenta ripresa di Amaury: la collaborazione con i Faust, la rimessa assieme dei cocci della sua band, la raccolta simbolica (che chiude un capitolo) “Ulaanbataar” ed il ritorno in questi giorni con l’ep “Soleils”. Cinque pezzi nuovi, bellissimi, che anticipano il full length “Tohu-Bohu” in uscita a novembre. Il Cibicida ha chiacchierato con Amaury: l’inferno, l’eclissi, il conformismo, la nuova etichetta, il difficile rapporto con Olivier Manchion. Una scatola di pensieri. Un grande artista.
Amaury: Quattro anni… già! E’ vero, il tempo vola. Durante questi anni è successo di tutto… Diciamo che dopo l’uscita di “Rodeo Massacre” le cose sono andate piuttosto bene: tante date, visibilità del gruppo su canali tv grazie ai video realizzati per quel disco, etc. Questo giustifica un anno su quattro però! I due anni dopo ho lavorato, registrato e girato in Europa con i Faust. Ero sempre via per lavoro. Non sono riuscito a concentrarmi sugli Ulan Bator e sulla mia vita personale. Forse non avevo abbastanza da dire per giustificare un disco nuovo, poi ho perso completamente il senso della mia vita fino ad arrivare a un esaurimento nervoso che è durato circa diciotto mesi. Ho viaggiato a destra e sinistra senza sapere cosa volevo, cosa cercavo. Ho litigato con tutti… mi sono davvero perso. Le persone che mi accompagnano su questo disco sono quelle che mi hanno sostenuto durante quel brutto periodo. Mi sono ripreso sei mesi fa e ho ritrovato finalmente la voglia di fare musica, ho anche creato l’etichetta “Acid Cobra Records”. Oggi vedo tutta questa speranza come positiva, un passaggio obbligato per ripartire alla grande.
Domanda: Cosa porti in questo ep dell’esperienza con i Faust?
Amaury: Per quanto riguarda la musica poco. Con Faust si improvvisa soprattutto. Invece questo disco è molto studiato e curato. Ho da sempre voluto scrivere delle cose sensate, in più sono un perfezionista quindi non riesco mai a pensare: “buona la prima”. L’esperienza Faust mi è servita a essere onesto, sempre di più, con me stesso. La ritengo di più un’esperienza umana che musicale. Oggi, quando scrivo, non mi nascondo più. Voglio dire delle cose, voglio trasmettere chiarezza. Dopo di che, piaccia o non piaccia, non voglio nascondermi dietro a un’etichetta “sperimentale” che permette a tanti di fare le cose a caso. Ulan Bator non e mai stato un gruppo sperimentale. E’ qui il punto comune con i Faust. I Faust vogliono fare la loro musica e non solo per l'”elite”.
Domanda: Si può vedere la raccolta “Ulaanbataar” come la fine di un capitolo della band?
Amaury: Certo. Non si sapeva mentre l’avevamo progettata, ma e così. Rappresenta una stanza del museo. Credo sia un disco valido per chi segue il gruppo da tanto, ma non è un disco che rappresenta quasi 15 anni di carriera. In realtà era un disco d’attesa, per darsi un “calcio in culo”, per dirci che eravamo ancora vivi. Io la vedo così. Non volevo per niente che diventasse ciò che poteva diventare se non mi riprendevo: una sepoltura…
Domanda: Nella copertina di “Soleils” c’è un’eclissi di sole. E’ la metafora dell’esistenza? Non c’è sole senza oscurità…
Amaury: Gioco sempre su queste cose ma alla fine è proprio quello che ho voluto esprimere. L’oscurità ci spaventa, ma allo stesso tempo ci attrae. Ho voluto come titolo “sole” al plurale anche per prendere coscienza del fatto che non ci sia solo il nostro sistema solare, ma altri, questo rappresenta anche una speranza in ciò che è sconosciuto. Le foto sono state scattate da un fotografo bretone emergente che adoro: Jérôme Sevrette. Jérôme ha capito perfettamente quello che ricercavo.
Domanda: “Soleils” anticipa il full length “Tohu-Bohu” che uscirà a novembre. Troveremo lo stesso suono e la stessa abbondanza di cantato?
Amaury: Sarà ancora diverso. Nessun brano di “Soleils” figurerà su “Tohu-Bohu”. Il disco sarà registrato in gruppo. Tutti insieme gli strumenti. Voglio un disco più fragile nel “sound”. Più vuoto anche… più aria. Per quanto riguarda il cantato non ti so ancora dire. Non mi sento obbligato a riempire o meno. Tutto deve suonare, alla fine, come mi piacerebbe ascoltarlo se non c’entrassi niente con la band.
Domanda: Raccontaci della collaborazione con James Johnston e Rosie Westbrook. Com’è nata?
Amaury: Ho incontrato James tre anni fa in Germania in occasione del festival che organizzano i Faust a casa loro ogni anno. Abbiamo passato due giorni a parlare e a scherzare. Io non sapevo chi era lui. Suonava lì con il suo progetto, “Bender…”, in mezzo alle tante band del festival. Da quel giorno è nata credo un’amicizia tra James, sua moglie e me. Poi ho scoperto che oltretutto, a quell’epoca, faceva parte dei “Bad Seeds” di Nick Cave… Ho incontrato Rosie, sempre grazie a James, a un concerto di Mick Harvey con cui suonava il contrabbasso. Lei mi disse che adorava “Ego:Echo”. Dopo mesi, quando Olivier ha deciso di prendere una lunga pausa, ho pensato subito a lei anche perché volevo una parte di contrabbasso sul brano “Soleil”.
Domanda: La “Acid Cobra Records” è al debutto…
Amaury: L’etichetta è mia quindi tutto dipende da me. Questo mi piace, così non me la devo prendere con nessuno se il lavoro non viene fatto bene. Sono rimasto in generale molto deluso quando ho cercato un’etichetta nuova per questo ep ma anche per il prossimo album. Ho trovato poco entusiasmo in generale. Ti parlano tutti di risultati, di vendite, ma nessuno di musica. Sappiamo tutti che attraversiamo una crisi discografica, ma cosa dobbiamo fare? Bisogna più che mai difendere la musica che ci piace producendola e comprando dischi che ci piacciono. Tra poco farò uscire un gruppo di Pescara: The Marigold. Ho prodotto e mixato il loro prossimo lavoro e devo dire che ne sono fiero.
Domanda: E’ proprio impossibile rivederti con Olivier Manchion? I vostri live insieme erano una delle cose migliori che ha mai proposto il rock europeo…
Amaury: Allora, è molto delicato come argomento. Olivier è l’unica persona con cui riesco a lavorare in “tandem”. Siamo cresciuti insieme nella stessa zona di Parigi e quindi è ovvio che trasmettiamo qualcosa di particolare quando suoniamo insieme ed è per quello che è stato subito proposto ad Olivier di suonare i bassi su questo disco, quando si è deciso di farlo… Non posso però obbligare nessuno a seguirmi tutta la vita in questa avventura. Olivier vuole e deve fare pure lui la sua vita. Ha anche il progetto “Permanent Fatal Error” da portare avanti. Per il momento e così.
Domanda: Ancora un lungo tour in Italia. Qual è, secondo te, l’aspetto degli Ulan Bator che più piace al pubblico italiano?
Amaury: Non ti saprei dire… credo che in Italia c’è una grande cultura per la musica “rock” o “cantautorale”. Piacciamo perché con gli Ulan Bator riusciamo ad abbinare in modo decente queste due cose? Forse.
Domanda: E il rock francese in che stato di salute si trova? Hai dei nomi da consigliarci?
Amaury: Il rock francese si trova in una situazione peggiore di quello italiano. Tanti gruppi riproducono cose già sentite per chi ha un minimo di cultura musicale. Manca l’originalità. Trovo più “rock” i Justice con la loro attitudine “me ne frego” che tanti altri che usano le chitarre e si sbrigano correndo a fare sentire le loro produzioni alle “major”… Io intendo come “rock” tutte le cose che facciamo in modo “convinto”, senza preoccuparci di come saranno viste o giudicate. Senza nessuna paura. Siamo in un’epoca di grande conformità. A me la conformità annoia. Sapere che ci sarà una pensione, un lavoro per tutta la vita, una casa che mi aspetta con un paio di ciabatte o ancora pensare che il capitalismo deve funzionare per forza, che i musulmani sono cattivi, che i cinesi ci rubano il lavoro, etc… tutti questi pensieri conformi alle regole mi spaventano e rendono la gente banale quando invece siamo tutti speciali e, grazie a mezzi di trasporto comodissimi e ad internet, dovremo aprirci verso gli altri e non vivere chiusi dentro i nostri principi. Con questo si fa il “rock” che sia musica, letteratura o cinema… Dischi “rock” da consigliare che ascolto in questo periodo? Larkin Grimm con “Parplar”, Animal Collective con “MerriWeather”, tutto ciò che ha fatto John Barry e Neil Diamond con “Home Before Dark”.
* Foto d’archivio
A cura di Riccardo Marra