A parte i propri (duri e puri) specifici gusti musicali, quali sono gli artisti che hanno caratterizzato le rispettive epoche, lasciando il segno in termini di contributo alla storia della musica rock? Scusandomi per le clamorose omissioni (tra cui tanti musicisti che purtroppo non hanno mai avuto il grande successo che avrebbero meritato), potrei azzardare qualche nome per decennio. Anni ’50: Elvis Presley. Anni ’60: Beatles e Rolling Stones. Anni ’70: Pink Floyd, Led Zeppelin, Sex Pistols. Anni ’80: U2, Cure, Depeche Mode. Anni ’90: Nirvana e Radiohead. E gli anni duemila (orribile modo per definire lo scorso decennio)? Il tempo dirà, ma a parte i Sigur Ros (che certamente rock non sono), l’unica band che si può menzionare con una certa sicurezza sono gli Arcade Fire. E non potrebbe essere altrimenti: totalmente ignorati dai nostri media musicali (ditemi le volte che li avete sentiti alla radio o visti su MTV…), dopo appena tre album riescono ad attirare oltre seimila persone all’Arena di Milano, alla modica cifra di 43 euro, con un altro concerto italiano alle porte. Ho snocciolato queste cifre perchè se si raggiungono questi numeri con una promozione mediatica pari allo zero, vuol dire che dietro c’è la presenza di qualcosa di straordinario: un movimento eterogeneo di appassionati che rimane stregato dalla musica dei canadesi, totalmente refrattari ad ogni tipo di moda, che certifica (se ce ne fosse ulteriore bisogno) come i ragazzi di Montreal stiano facendo la storia della musica in questi anni avari di reali novità. La serata, che fa parte del Milano Jazzin Festival (cartellone notevole, ma cosa c’entra con il jazz?) è aperta dagli australiani Cloud Control e dai White Lies. Se i primi risultano essere una piacevole sorpresa e meritano ascolti futuri più approfonditi, la band di Harry McVeigh è protagonista di una esibizione che merita la sufficienza, ma al contempo dimostra tutti i difetti degli inglesi. Il nuovo lavoro “Ritual” – al di là di qualche spunto interessante – non è certo all’altezza dell’ottimo disco d’esordio, ed i limiti live del gruppo fanno il resto: peccato, perchè si pensava ad un futuro migliore per una band invece condannata a fare da eterno sparring partner a colleghi più illustri, sulla scia degli Editors di un paio di anni fa.
SETLIST: Ready To Start – Keep The Car Running – No Cars Go – Haïti – My Body Is A Cage – Crown Of Love – The Suburbs – Month Of May – Rococo – Intervention – Neighborhood #1 (Tunnels) – We Used To Wait – Neighborhood #3 (Power Out) – Rebellion (Lies) —encore— Wake Up – Sprawl II (Mountains Beyond Mountains)
A cura di Karol Firrincieli