Il Live Club di Trezzo è un locale un po’ fuori mano per chi è abituato ai concerti a Milano, ma estremamente organizzato: si trova appena fuori dal casello autostradale, dispone di un parcheggio immenso e gratuito (è parte integrante di un centro commerciale) e presenta un’ottima acustica al suo interno, decisamente non troppo capiente.
Non c’è nessuna band di supporto, ma un dj set d’eccezione che rende ancor più nostalgica la serata: a mettere i dischi è infatti Paul Gallagher (fratello di Liam e Noel), perfetto esempio di come si possa campare di rendita alla grande grazie ad illustri parentele. Il suo intermezzo musicale è piacevole (Sex Pistols, Stone Roses e Kinks tra gli artisti selezionati) ma eccessivamente lungo: due ore sono troppe anche per il più invasato nostalgico della scena brit.
Alle 22.00 salgono finalmente sul palco i Beady Eye, capitanati da uno scheletrico Liam Gallagher, una volta tanto senza capelli lunghi e occhiali da sole. La band nata dalle ceneri ancora calde degli Oasis comincia subito forte con Flick Of The Finger, uno dei migliori brani dell’ultimo album (il buon “BE”) che perde però tanto senza la sezione di fiati al seguito. Peccato, ma è uno dei pochissimi pezzi ad avere una resa live inferiore alle aspettative. Il concerto, infatti, decolla rapidamente grazie a Face The Crowd e Four Letter Word, canzoni rock senza troppi fronzoli che rappresentano alla perfezione il progetto Beady Eye: un gruppo con capacità tecniche straordinarie (ricordiamo anche Chris Sharrock e Jay Mehler, membri semiufficiali rispettivamente di Oasis e Kasabian) che però a livello compositivo palesa parecchi difetti.
Altro esempio lampante di quanto detto è Soul Love, brano con un ritornello debole ma che grazie alla bravura della band dal vivo fa la sua onesta figura. Ci sono poi canzoni dove i Beady Eye danno il meglio di loro stessi: il vago sapore 60’s dell’irresistibile I’m Just Saying è il momento più alto della serata insieme alla splendida e malinconica Start Anew, che conferma le capacità del più giovane dei Gallagher nel comporre ballate di un certo effetto (accadeva già negli Oasis, ma di questo parleremo dopo).
Convincono anche la beatlesiana The World’s Not Set In Stone, l’introspettiva Soon Come Tomorrow e l’eclettica Wigwam, che con le sue audaci tastiere anni ‘80 rappresenta un piacevolissimo diversivo nel corso del live.
Tutto liscio dunque? Non proprio. I Beady Eye piazzano in scaletta due plagi abbastanza clamorosi: sopra le strofe di The Roller viene quasi naturale cantare “Instant Karma” di Lennon, mentre Shine A Light contiene parecchi elementi di “Desire” degli U2 e “Sympathy For The Devil” degli Stones, mica roba da poco. Fin qui ordinaria amministrazione, ma è con la scelta delle cover degli Oasis che Liam Gallagher (padrone indiscusso della serata: presenza scenica imponente ed una voce in parziale ripresa) la fa davvero sporca. Se si parte dall’ovvio principio che le canzoni sono di chi le compone (e non di chi le canta), che senso ha ostinarsi a proporre dal vivo brani composti dell’odiato fratello, come Cigarettes & Alcohol e soprattutto Wonderwall? Nessuno. Una scelta incomprensibile, anche perchè Gallagher Jr., Archer e Bell hanno composto ai tempi degli Oasis canzoni di ottimo livello: tanto per fare un esempio una scaletta arricchita da “I’m Outta Time”, “Songbird”, “To Be Where There’s Life” e “A Bell Will Ring” sarebbe stata un gran bel sentire.
Invece la band compie una scelta quasi umiliante se pensiamo alle parole di Noel Gallagher (“I Beady Eye possono suonare le mie canzoni, basta che mi paghino i diritti”). Ma è il segno dei tempi. Una volta era Knebworth, ora Trezzo sull’Adda. Una volta era Oasis vs. Blur, ora Gallagher vs. Gallagher.
SETLIST: White Smoke (intro) – Flick Of The Finger – Face The Crowd – Four Letter Word – Soul Love – Second Bite Of The Apple – Iz Rite – Shine A Light – Wonderwall (cover Oasis) – The World’s Not Set In Stone – I’m Just Saying – Soon Come Tomorrow – Cigarettes & Alcohol (cover Oasis) – The Roller – Start Anew – Bring The Light – Wigwam —encore— Gimme Shelter (cover Rolling Stones)