Questa data i Big Thief avrebbero dovuto tenerla nel 2020, proprio nei giorni in cui la pandemia iniziava a battere i suoi primi fortissimi e devastanti colpi. Concerto annullato, quello come centinaia di altri, e addio musica dal vivo per un bel po’. Adrianne Lenker e i suoi stavano portando in giro quell’accoppiata di successo che era stata “U.F.O.F.” e “Two Hands”, entrambi pubblicati nel 2019 a suggellare una carriera in enorme e inarrestabile ascesa, e adesso che ce li siamo finalmente ritrovati davanti a Milano di dischi da presentare ne hanno anche un altro, addirittura doppio, quel “Dragon New Warm Mountain I Believe In You” uscito lo scorso anno e accolto come un gioielliere accoglierebbe qualche chilo di oro grezzo. Reazione ormai usuale per i lavori della formazione americana, che in quanto a hype ha ormai pochi rivali a livello mondiale in ambito non mainstream.
All’Alcatraz si percepisce l’attesa che serpeggia nel pubblico, perché la scrittura di Lenker non è di quelle che passa inosservate, ha saputo raccogliere nel corso degli anni e dei dischi una marea di identificazioni tra più e meno giovani, caratteristica che è un po’ il segreto di pulcinella di ogni artista che si rispetti. E lo si capisce immediatamente, non appena ha inizio il concerto, il motivo per il quale tanti ascoltano lei e sentono quasi che Lenker parli per loro: Adrianne non canta, non interpreta, non accompagna con faccette enfatizzanti le sue parole: lei sta lì, spesso a occhi chiusi, a parlare di se stessa come farebbe con un amico/a, solo che davanti ha solitamente centinaia di persone (a proposito, piena la location milanese ma non pienissima come ci saremmo attesi, complice magari il ponte lungo o le decine di eventi del fuorisalone in città). E, come farebbe con un amico/a, a volte alza il tono e sembra quasi incazzarsi, per poi subito dopo cercare l’abbraccio quasi consolatorio del pubblico.
La setlist che i Big Thief propongono è ovviamente incentrata sull’ultimo corposo lavoro in studio, con qualche sparuta puntata ai dischi precedenti, tra cui una Masterpiece che quasi a inizio live mette in chiaro le cose e Not che si conferma anche dal vivo uno dei loro highlight. Le chitarre sono sempre in primo piano − a volte persino troppo rispetto ai dischi, non è chiaro se per una scelta precisa o per qualche problematica tecnica − e fanno il buono e il cattivo tempo dell’intero concerto, di quel folk spruzzato d’indie rock che i Big Thief hanno con pochi dischi elevato a un altro livello. L’ora e venti di concerto − ma prima dell’encore di rito affidato a Certainty e Happy With You era persino partita la musica in sala, segno che forse a livello tecnico il tutto non stava andando esattamente come la band avrebbe voluto − scorre veloce, così come il sangue nelle vene dei presenti: capire e vedere dove andranno a parare adesso i Big Thief, con questi numeri, sarà davvero interessante.