Ad essere sinceri, mai mi ero appassionato alla carriera di Cristina Donà, pur riconoscendola come una delle migliori cantautrici italiane (niente a che vedere con Consoli o Elisa, pur misteriosamente osannate dalla critica). Ho sempre apprezzato i pezzi nei quali mi sono (casualmente, per carità) imbattuto, ma sempre quasi in segreto, in incognito come fossi una spia del KGB a Washington durante la guerra fredda. Eh già, perché la nostra brava Cristina è talmente… femminile, che ad ascoltarla ci si sente quasi intaccati nella propria puzzolente mascolinità. Ma la rozza, gretta, lercia virilità della quale ci bulliamo al pub con gli amici, la cresta da galletti che sfoggiamo con orgoglio, si abbassa miracolosamente a contatto con l’altra metà del cielo. Ed infatti, in occasione del live della Donà il 29 Giugno ai Mercati Generali, il nutrito pubblico femminile vanta sia donne single che donne accompagnate dal proprio cavaliere, mentre il più numericamente contenuto pubblico maschile, invece, è rigorosamente accompagnato da una dama che lo tira per la manina, mentre egli (il suddetto galletto), si guarda intorno per accertarsi della presenza di qualche simile che lo rassicurasse. La Donà, serena e divertita, tiene in pugno il suo pubblico, aiutata anche dalla bella cornice dei Mercati Generali, molto più adeguati per questa tipologia di live che per quelli più “rumorosi”, e ci gioca ben cosciente di sapere incantare. Vocalmente perfetta nonostante i venti anni di carriera, spazia ampiamente per tutto il suo repertorio, dalle recentissime Miracoli e Torno a casa a piedi, arrivando a pescare persino dall’esordio “Tregua” del 1997, con la splendida Stelle Buone.
Supportata dalla solidissima batteria di Piero Monterisi e dal polistrumentista Saverio Lanza, produttore e co-autore dell’ultimo album (“Torno a casa a piedi” del 2011), che suona basso, chitarra acustica, chitarra elettrica, tastiere, oltre ad occuparsi con estrema perizia di quelle che in ammmerica chiamano “background vocals” e che noi mangiaspaghetti più tristemente appelliamo “coretti”. Mancava solo che suonasse le dannate marimbas ed il glockenspiel. Lanza fornisce il supporto adeguato per consentire alla Donà di esibirsi con estrema tranquillità e di giocare con il pubblico, come fa con Giapponese (l’arte di arrivare a fine mese), durante la quale chiama una ragazza dalla platea a mimare il testo della canzone, o durante Nel mio giardino, nella quale mima un assolo di tromba (sorprendentemente non suonata dal buon Lanza). Spesso e volentieri Cristina si lancia in citazioni, ricordando Clarence Clemons (sassofonista recentemente scomparso della E-Street Band di Springsteen, del quale la Donà è fan appassionata) durante Ho sempre me, quando gioca col pubblico in una improvvisata Don’t Worry Be Happy, o nella meravigliosa Povera Patria di Franco Battiato, oggi sempre più attuale vista la situazione politica italiana (“Schiacciata dagli abusi del potere / di gente infame, che non sa cos’è il pudore, […] Tra i governanti, / quanti perfetti e inutili buffoni”). In una emozionante Invisibile ricorda memorie catanesi (“…è buffo cantare qui questa canzone.. no, non buffo… meraviglioso”), in quello che curiosamente è uno dei momenti più belli dell’intero live. Cristina saluta dopo più di un’ora e mezza di concerto, inchinandosi al pubblico assieme ai suoi soci come si fa a teatro. E la cosa più divertente è vedere che, se le donne sono perfettamente soddisfatte dallo spettacolo ma non sorprese, i più incantati sono i galletti, i quali custodiranno il segreto di essere stati ammaliati dalla Donà sino al letto di morte. E, onestamente, devo ammettere di essermi lanciato in una furiosa “Jumpin’ Jack Flash” durante il tragitto di ritorno, tanto per sentirmi figo. E, altrettanto onestamente, devo ammettere di aver cercato quanta più roba possibile della Donà appena arrivato a casa. Ma… shhh… non ditelo in giro.
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