Per gli australiani DMA’s dopo l’ottimo esordio su disco è venuto il momento di toccare anche l’Europa nel loro tour mondiale (perché di questo si tratta tra Oceania, U.S.A. e vecchio continente). Per fortuna non hanno snobbato l’Italia – pratica molto diffusa ultimamente – suonando per ben tre volte nel nostro Paese: dopo Bologna e Roma ecco Milano, data aggiunta in un secondo momento ma non per questo meno attesa. Il locale (pardon, circolo) è il Serraglio, nuovo spazio che si sta affacciando da qualche mese sulla scena milanese, gestito tra gli altri da Giorgio Prette, ex colonna portante degli Afterhours (ora nelle fila dei Todo Modo) che fa cordialmente gli onori di casa. Non è dunque un caso che l’impianto sia eccellente e la sala ben strutturata, con buona visuale e capienza: se aggiungiamo anche la possibilità di consumare ottimo street food, il Serraglio non può che essere promosso a pieni voti.
Dopo un ricercato dj set assolutamente a tema con la serata, ad aprire i live ci pensano i Canova, trio milanese privo di batteria che tra una ballad e l’altra attira l’attenzione dei presenti con un mega medley degli Oasis. L’attenzione del pubblico (di chiarissima matrice brit) è però tutta per i DMA’s che, dopo un soundcheck vecchia maniera eseguito solo qualche minuto prima del concerto, iniziano a suonare alle 23.00, orario sicuramente infelice per chi il giorno dopo lavora.
Non possiamo non aprire una parentesi sul look dei tre aussie, talmente trasandato e sciatto (sembrano tre carpentieri di Melbourne in pausa pranzo) da ricordare vagamente i primissimi Sex Pistols, vestiti come barboni dalla geniale Vivienne Westwood. Se siano o meno dei neo punk in un oceano hipster non è ancora dato sapere, ma i DMA’s indubbiamente colpiscono per la loro proposta musicale estremamente convincente: il livello medio delle composizioni – nonostante un solo album alle spalle – è vertiginosamente alto ed i ragazzi sanno suonare parecchio bene.
A farla da padrone nel breve live è ovviamente l’unico disco dei tre australiani – l’eccellente Hills End – ma non mancano altre canzoni precedentemente pubblicate come singoli e tenute fuori un po’ inspiegabilmente dall’album, come la meravigliosa Feels Like 37. Il concerto non può che essere tiratissimo, ma lo shoegaze di Melbourne e l’agrodolce Straight Dimensions meritano una doverosa menzione a parte. Il pubblico numerosissimo apprezza e balla parecchio quando i tre australiani (ma sul palco a suonare sono in cinque) spingono sull’acceleratore come nel caso della fulminante Lay Down: peccato che per la finale Play It Out i ragazzi abbiano invece optato per un’esecuzione più soft, che limita la forza primordiale della canzone.
Ma sono dettagli: il materiale è da raffinare, ma rimane di grandissima qualità. Il punto sarà capire cosa faranno in futuro i DMA’s, capaci di regalarci in questo primo scorcio di 2016 un disco che va ben oltre la manciata di brani interessanti. Le ipotesi sono semplicemente due: scadere nell’anonimato o diventare star capaci di riempire i palasport. Noi – a costo di risultare poco poetici – preferiremmo la seconda strada.