È stato una bella scommessa riuscire a portare Kelela in Italia, per un concerto da protagonista e non più da spalla come accadde per lo Spring Attitude del 2015. La stessa Kelela ha rivelato tra un brano e l’altro che “Avevo paura non ci fosse nessuno”, a dimostrazione di come lei stessa fosse consapevole del fatto che il pubblico italiano possa essere difficile da conquistare. A vedersi invece, c’è stata una buona reazione di pubblico sia all’annuncio della data che nella presenza al Teatro Principe.
Con un ritardo accettabile, tre figure indistinguibili salgono sul palco. Le tre figure si rivelano poi essere Kelela e le due coriste, scelte non casualmente, tanto per la bella presenza che per le doti canore. Oltre all’aspetto scenografico (le tre sono interamente vestite di bianco), le coriste si sono rivelate fondamentali per la riuscita dello spettacolo: dove Kelela svanisce, entrano in soccorso loro a completare una voce che dal vivo è apparsa più sottile e fragile di quanto ci si aspettasse.
Questa mancanza e timidezza iniziale nel tenere il palco si è fatta notare principalmente nella prima parte, data da una scelta di brani lenti che avrebbero richiesto maggior enfasi e coinvolgimento. Nella seconda parte, invece, aiutata anche dall’audio e da una selezione più dance, Kelela ha dato l’impressione di trovarsi più a suo agio, riuscendo a trasmettere la stessa sensazione al pubblico. Bluff e Turn To Dust sono i brani più sentiti ed emozionanti, mentre si termina con l’attesa Rewind.
Sarà per il background e la familiarità a gestire situazioni più informali (cresciuta artisticamente in locali più intimi), Kelela ha dato l’impressione che il piccolo club sia la sua dimensione perfetta, dimensione in cui anche con qualche problema di audio la voce riesce a prevalere maggiormente ed è più facile essere padroni del palco.