Questa sera, invece, ci attende un concerto autentico: niente telecamere, niente guestlist, niente luci ingombranti, niente briglie, niente sella. Solo sudore ed estasi.
Lasciato da parte il piglio auto-ironico del “Dig Lazarus Dig Tour” i Bad Seeds sembrano tornati allo smalto di vent’anni fa, merito forse della parentesi Grinderman. Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se sul palco fossero rimasti Blixa Bargeld e Mick Harvey ma, la pulsante sezione ritmica di Martyn P. Casey e Jim Sclavunos, la tastiera di Conway Savage, unita al ritorno di Barry Adamson (dopo ventisei anni), al nuovo arrivato George Vjestica alla chitarra e al geniale tutto fare Warren Ellis, non li fanno rimpiangere. Nick, inoltre, si è rasato i baffi e ha saggiamente deciso di lasciare da parte la chitarra per dedicarsi, anima e corpo, alla voce e al pianoforte.
Sarà Shilpa Ray & Her Happy Hookers in versione “one band girl” ad aprire le danze, un piacevole massaggio alle orecchie prima della furia che non tarderà a scatenarsi sul palco dell’Hala Tivoli.
Sono schierato al lato destro, davanti alla postazione di Warren Ellis, nuovo direttore d’orchestra incontrastato dei Bad Seeds. Alle 21.00 tutto è pronto, si spengono le luci, partono le note di We No Who U R, ed ecco Nick Cave, in completo di raso nero, ad indicarci minaccioso “We know who you are, we know where you live, and we know there’s no need to forgive”.
Dopo questa introduzione la band è perfettamente ambientata e il concerto comincia a decollare. Jubilee Street, il viaggio al termine della notte ha inizio ed io perdo completamente il controllo e comincio a saltare ad occhi chiusi. “The problem was, she had a little black book”… e la dinamica sale. Sempre più in alto… sempre più in alto… fino alla catarsi… “I’m transforming… I’m vibrating… I’m glowing… I’m flying… look at me know”… Warren imbraccia il violino, ormai non mi trattengo più: “Go Warren Gooo!”, mi sembra di spiccare il volo.
Siamo appena all’inizio, un temporale all’orizzonte. “Look Yonder! A big black cloud come!”, Nick è sopra la mia testa, come un predicatore impazzito, che lui stesso ha descritto nel suo primo romanzo “E l’asina vide l’angelo”. “The king was born in Tupelo!”, si appoggia alle mani dei presenti, si fonde con loro in un tutt’uno, e io sono lì, con loro, a sorreggerlo. Sembra di essere a Tupelo, un paese dimenticato da Dio, nel bel mezzo della tempesta, indifesi e prossimi all’apocalisse.
L’inquietante campana di Red Right Hand non dà tregua. Una passeggiata con il diavolo. Nick gioca con il pubblico aggiungendo versi al testo, si rivolge in particolare ad un fan che lo filma con il cellulare “You still got that shitty camera? He’ll get you a new one”.
Si rallenta un po’ con Mermaids tratta dall’ultimo “Push The Sky Away” e abbellita da un lungo assolo finale di Warren sulla sua chitarra personalizzata, a quattro corde. The Weeping Song regge anche senza la seconda voce di Blixa, complice un arrangiamento ben calibrato sulla melodia del violino.
A canzone finita, un fan particolarmente alticcio urla “I love you!”, Nick si avvicina “Behave yourself”, comportati bene, gli dice, lo incita poi a fare silenzio e sussurra “I wanna tell you about a girl”, neanche tempo di riprendere fiato e bamm, il basso pulsante di Martyn P. Casey ci trascina nella stanza 29 di From Her To Eternity interpretata con una teatralità pari ai tempi de “Il cielo sopra Berlino”. Ad un certo punto Nick ci incita a fare spazio, sembra voglia calarsi tra noi. Non è così, a qualche fila di distanza vede una ragazza dai lunghi capelli neri, simile ad Anita Lane, e la incita ad avvicinarsi. Nick vuole dedicarle la strofa che dà senso a tutta la canzone: “This desire to possess her is a wound, and its naggin at me like a shrew, but, ah know, that to possess her Is, therefore, not to desire her”, che si può tradurre: “Questo desiderio di possederla è un vero strazio, e mi tormenta come una megera. Ma io so bene che possederla significa non desiderarla”.
E’ il momento di rifiatare; incredibile come si riesca a passare da momenti di tale furia selvaggia a momenti di delicatezza cristallina. Rispetto al tour del 2008 le canzoni al pianoforte sono suonate in maniera molto più ispirata, è come se avessero acquisito una nuova linfa vitale. West Country Girl, Into My Arms, People Ain’t No Good e Love Letter, quattro brani, tratti da “The Boatman’s Call” e “No More Shall We Part”, due album che amo e conosco a memoria.
Higgs Bosom Blues riporta il Nostro tra le prime file, è davvero in gran serata e ha un gran bisogno di sentire il pubblico sulla propria pelle. Sul verso “Can you fell my heartbeat?” ci incita ad avvicinarci, poi si lascia cadere, facendosi sorreggere sul petto, dritto al cuore. Ad un bivio incontriamo Robert Johnson e Lucifero, arriviamo al Lorraine Motel di Memphis, fa caldo, uno sparo risuona come un ritmo spirituale, eccoci nella Savana, con Hannah Montana e un missionario con il vaiolo che sta salvando i selvaggi con il suo Higgs Boson Blues mentre Miley Cyrus fluttua in una piscina a Toluca Lake. E’ così, il testo tradotto in realtà.
E’ il condannato a morte del classico The Mercy Seat a continuare la storia, la sedia elettrica lo attende, il trono della misericordia. Anche se non vuole ammetterlo sappiamo già tutti che è lui il colpevole. Con gli occhi iniettati di sangue Nick si immedesima nel personaggio, implorandoci di credergli.
Si passa ad un altra storia di truci omicidi con Stagger Lee da “Murder Ballads”, e il dialogo con il pubblico viene portato all’esasperazione. Siamo dentro al saloon “the bucket of blood” dove, quel maledetto figlio di puttana, Stag, li uccide tutti fino all’ultimo. Quando la carneficina sembra finita entra il Diavolo in persona ma Stag non ha pietà, e lo riempie di piombo.
Il set si conclude sulle note rarefatte di Push The Sky Away: anche se alcuni dicono che è solo rock’n’roll, arriva dritto alla nostra anima. E dobbiamo continuare a spingere, spingere via il cielo, senza arrenderci.
Ma non è finita; si ricomincia con la ballata God Is In The House, un’altra delle mie favorite. Pubblico eccellente, tutti in religioso silenzio, non vola una mosca, nessuno urla con voce sommessa hallelujah. Si sentono solo note cristalline ed un’interpretazione sussurrata, da brivido.
Deanna tradisce forse un po’ di stanchezza ma, dopo quasi due ore di performance selvaggia, lo si può perdonare. Le sorprese non sono finite. Qualche indicazione alla band e Nick dedica Stranger Than Kindness ad una fan che lo sta seguendo in tour.
La strada è stata lunga e impervia ma, per raggiungere la totale epurazione dei sensi, bisogna raccogliere le ultime energie e intonare Papa Won’t Leave You, Henry, papà non ti lascerà Henry, papà non ti lascerà ragazzo, quindi non c’è bisogno di piangere.
Salire sul palco significa sciogliere le briglie, gettare la sella ed esplodere in una catarsi di pura e totale emozione. Ecco di cosa si tratta; Liberarsi, Abbandonarsi, Purificarsi. L’epurazione dei sensi.
– Nick Cave –
SETLIST: We No Who U R – Jubilee Street – Tupelo – Red Right Hand – Mermaids – The Weeping Song – From Her To Eternity – West Country Girl – Into My Arms – People Ain’t No Good – Love Letter – Higgs Boson Blues – The Mercy Seat – Stagger Lee – Push The Sky Away —encore— God Is In The House – Deanna – Stranger Than Kindness – Papa Won’t Leave You, Henry