In formazione ridotta e bellicosamente acustica, Fabio De Min e soci intrattengono un pubblico attento e assai coinvolto nonostante una parte dei presenti, nei pressi del bar dell’accogliente Le Mura, scelga ostinatamente di schiamazzare per l’intera durata della performance. Poi uno dice: il suffragio universale.
Note stonate a parte, in ogni caso, la serata si dipana dolcemente lungo l’intera carriera della band, cominciando ordinatamente dai primordi (Quello con la telecamera, Hotel Tivoli, la già citata I piani per il sabato sera) per arrivare all’ultimo “L’Amore Fin Che Dura”.
Pezzi come L’inconsolabile (introdotta da una curiosa analogia con Gigi D’Alessio), Le mogli o La sera, eccellenze del pop nostrano, tolgono il fiato in una veste così intima, laddove l’effervescenza de La bonne heure regala veri e propri momenti da balera, in platea. La splendida Le guerre chiude la prima parte dell’esibizione, che tuttavia decide saggiamente di risparmiare «la solita pantomima del bis; tanto non sappiamo dove cazzo andare». E allora, una in fila all’altra, ecco le delicate attenzioni de I condomini, Le paure e Il nastro rosa, che precedono un doveroso, eccezionale tributo a Flavio Giurato (Marcia nuziale), principe della canzone italiana.
Il punto esclamativo, per soddisfare le reiterate e ben accolte richieste dalla regia, giunge sulla scia d’una magnifica Cary Grant in versione vagamente pornografica, congedo d’una serata raccolta, crepuscolare e cristallina. Come la classe intatta dei Non Voglio Che Clara, tra i rari eredi d’una tradizione che vanta pochi figli di cotanti padri e si conferma, anno dopo anno, tra le prime scelte per la successione al trono.
SETLIST: Quello con la telecamera – Hotel Tivoli – I piani per il sabato sera – Le anitre – L’inconsolabile – L’ultima occasione – Le mogli – La bonne heure – Gli acrobati – La sera – Le guerre —encore— I condomini – Le paure – Il nastro rosa – Marcia Nuziale (Flavio Giurato) – Cary Grant