Pubblicato qualche settimana fa, “Silence Yourself”, il loro disco d’esordio, ha raccolto la pressoché totalità dei consensi della stampa specializzata, undici tracce di un post punk sbilenco e senza tempo che azzera i riferimenti cronologici. “Sembra d’essere nel 1977”, sentiremo bisbigliare ad un ragazzo durante il concerto. E mai affermazione fu più azzeccata, tanto per l’aspetto prettamente musicale quanto per l’atmosfera stessa che si crea nel locale: fumo sul palco e pubblico omologato anche nel look (vanno per la maggiore le riot grrrl, a tema con le protagoniste della serata).
Ma andiamo con ordine: le Savages si presentano on stage alle 23.05 ed è subito City’s Full: Gemma Thompson ed Ayse Hassan, rispettivamente chitarra e basso, sono le più schive fra le quattro, posizionate ai lati del palco rimarranno curve sui propri strumenti praticamente per tutto il concerto. Poi c’è Fay Milton alle pelli, una diavolo, un ossesso che picchia come a un incontro di thai boxe, a dettare in tutto e per tutto i tempi dell’esibizione delle Savages.
E infine Jehnny Beth, frontwoman della band e catalizzatrice dell’attenzione, con quell’aspetto androgino, le movenze da rockstar navigata e un continuo scuotersi che la fa sembrare a dir poco tarantolata. A tratti, quando le luci sono più flebili e la si osserva dai lati del palco, sembra di avere difronte un emulo del compianto leader dei Joy Division, punto di riferimento musicale delle Savages. La setlist paga inevitabilmente pegno all’unico lavoro delle londinesi: ci sono Shut Up, I Am Here, Strife, No Face, il singolo She Will (che il pubblico pare già conoscere alla perfezione), Hit Me e Husbands.
E poi Waiting For A Sign, quel pezzo che sa tanto Patti Smith e che esce un po’ dai canoni di brevità delle altre composizioni a firma Savages, piazzato esattamente a metà performance. Alla fine di questo brano, Jehnny rivolge per la prima volta la parola alla platea: “Buonasera – dirà in un italiano maccheronico – è la prima volta che suoniamo in Italia”.
Subito a seguire Flying To Berlin, primissimo singolo inciso dalla band e non inserito nel disco d’esordio, eccezione nella setlist così come il pezzo con cui la Beth e le altre decidono di congedarsi dal pubblico milanese: s’intitola Fuckers, è probabilmente un inedito e racchiude alla perfezione la rabbia e l’indole di una formazione che – anche dal vivo – stupisce. La coda strumentale del pezzo viene portata per le lunghe, almeno un paio di minuti, giusto per raggiungere l’ora esatta di esibizione.
La serata non finisce qui, continua giù dal palco, fra la gente, con le quattro che si prestano a firmare dischi (rigorosamente in vinile quelli acquistati fra il pubblico, in linea con la retromania dilagante in sala) e comparire in foto ricordo. La sensazione è che le ragazze ci siano dentro fino al collo, dal vivo suonano ancora più arrabbiate e punk che su disco, hanno l’aspetto giusto, l’approccio giusto e le frasi giuste per non essere una meteora.
SETLIST: City’s Full – Shut Up – I Am Here – Give Me A Gun – Strife – Waiting For A Sign – Flying To Berlin – No Face – She Will – Hit Me – Husbands – Fuckers