E il carattere del disco, combattuto fra dimissione (anche fisica) ed esplosioni di rabbia, è evidente nel corso dei live della Scott, trasposizione personale prima che artistica. Accompagnata da una formazione di tre elementi che sottolineano bene ogni passaggio lirico, Torres si presenta sul palco alle 22.50, in leggero ritardo sulla tabella di marcia. Tutti e quattro vestono allo stesso modo: camicie nere, pantaloni neri, anfibi neri.
Poche, pochissime le parole proferite, giusto qualche ringraziamento al pubblico, un commento su questa sua prima capatina nel nostro Paese e null’altro. Mackenzie trascorre l’intera ora di concerto pressoché sempre a occhi chiusi o col capo chino sulla sua chitarra: si, c’è qualche accordatura da sistemare, ma è chiaro come il suo sia più un fuggire lo sguardo della platea che altro. Ecco, c’è più Nick Drake che Mick Jagger nelle sue esibizioni, mettiamola così.
I brani della setlist sono quelli del nuovo album, c’è New Skin, c’è la rabbia della title track, c’è Strange Hellos che anche nella dimensione concerto paga pegno a PJ Harvey, c’è la stupenda The Harshest Light che chiude il set prima dell’encore. Torres, come si diceva, è piuttosto schiva, ma in un paio di momenti si lascia andare nel vero senso della parola, giù per terra, chitarra sullo sterno à la Hendrix e movimenti sinuosi che la fondono col suo strumento in un’estasi quasi privata.
Al rientro dopo i pochi secondi d’interruzione c’è spazio per la sola November Baby, presa dal disco omonimo, lunga elegia finale che chiude il live. I cento presenti non saranno affatto pentiti di aver deciso di trascorrere così quest’uggioso lunedì sera di fine estate.