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White Lies – 16/11/2013 – Milano – Magazzini Generali

Durante il fine settimana i concerti milanesi cominciano presto, molto presto. Per carità, basta saperlo prima (in tal caso nulla da dire a Vivo Concerti che ha comunicato fedelmente gli orari della serata), ma fa sempre impressione che un gruppo di supporto suoni alle 19.30 e la band headliner esattamente un’ora dopo. Alle 19.20 sono già dentro i Magazzini Generali perché gli In The Valley Below – chiamati ad aprire per i White Lies nel loro tour europeo – mi incuriosivano parecchio, soprattutto dopo avere ascoltato “Peaches”, loro ottimo EP d’esordio.

Negli ultimi anni il livello medio dei gruppi d’apertura è sceso oltre ogni limite accettabile, col risultato di assistere spesso ad esibizioni lunghe e noiose. Non è fortunatamente il caso della band americana (fresca di un’esibizione da David Letterman e di un tour con i Cold War Kids), che fa quello che dovrebbe fare ogni gruppo di supporto: pochi brani (giusto sei) ma buoni. Jeffrey Jacob e Angelica Gail dispongono di qualità vocali eccellenti, il resto della formazione suona molto bene, la loro musica (tracce di dream pop con forti influssi melodici) fa il resto. La migliore band d’apertura vista da parecchi anni a questa parte.

Dopo venti minuti di pausa è la volta dei White Lies, che hanno scelto il locale di Via Pietrasanta per la loro unica data italiana. La sala è piena, a testimonianza del fatto che tante band scommettono poco sull’Italia, “omaggiandola” – se va bene – solo di una toccata e fuga in terra meneghina. Harry McVeigh e compagni suonano settanta minuti, alternando sapientemente vecchie hit del passato alle tracce del loro nuovo album, l’ambizioso “Big TV”.

Ci sono canzoni che non hanno bisogno di presentazioni, come To Lose My Life e Farewell To The Fairground (vere assicurazioni sulla vita artistica degli inglesi), mentre altre spezzano piacevolmente il canovaccio stilistico della band (la gioiosa The Power & The Glory e I Would Die For You, riuscita cover di Prince). I White Lies suonano come sempre: brit rock del nuovo millennio infarcito di sintetizzatori, con la voce del frontman a rappresentare il principale punto di forza del live di un gruppo non incline alle sbavature, ma neanche ai virtuosismi.

Per quanto riguarda i nuovi brani il bilancio è sicuramente positivo. Il pop mieloso e mal suonato di First Time Caller non convince, ma è fortunatamente controbilanciato a dovere da altre canzoni presenti in scaletta: l’eccellente title-track, l’irresistibile rock di Be Your Man e la sognante There Goes Our Love Again rappresentano i momenti più alti di un concept album magari non perfettamente riuscito, ma sicuramente coraggioso.

La grande nota negativa della serata è invece rappresentata dalle luci, totalmente fuori luogo ed a tratti odiose. Tralasciando uno sporadico uso del laser (che può piacere o no), in alcuni momenti del concerto sono stati usati dei fari talmente forti che mi hanno regalato la piacevole sensazione di andare incontro ad un tir con gli abbaglianti accesi. La band è tra l’altro recidiva a riguardo (vedi live all’Alcatraz di due anni fa). La prossima volta porterò gli occhiali da sole.

SETLIST: To Lose My Life – There Goes Our Love Again – Place To Hide – Mother Tongue – Streetlights – Farewell To The Fairground – Be Your Man – E.S.T. – The Power & The Glory – Getting Even – Unfinished Business – I Would Die For You (cover Prince) – First Time Caller – Death —encore— Big Tv – Bigger Than Us

Una malattia cronica chiamata britpop lo affligge dal lontano 1994 e non vuole guarire. Bassista fallito, ma per suonare da headliner a Glastonbury c'è tempo. Già farmacista, ha messo su la sua piccola impresa turistica. Scrive per Il Cibicida dal 2009.

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