Non sono mai stato un grande estimatore delle indie band pubblicizzate ogni mese dall’NME, ed è per questo che non pensavo di spendere una serata (e 18 euro) per assistere al live dei Wombats. Ma lavorare accanto l’Alcatraz, per di più in un maggio milanese praticamente privo di concerti interessanti, mi ha fatto cadere in tentazione (con tanti saluti alla coerenza). Il concerto era inizialmente previsto al Tunnel, ma l’eccessiva richiesta di biglietti ha fatto sì che la location venisse spostata nel più capiente club di via Valtellina. L’età media del pubblico è davvero bassa, ma ciò che preoccupa maggiormente è l’incredibile appiattimento nel look degli odierni indie rockers o presunti tali: la quantità di t-shirt aderenti, camicie a quadrettoni e occhialoni da vista con montatura nera raggiunge livelli imbarazzanti; così improvvisamente capisci che il movimento che tanto stimavi è ormai schiavo di una tremenda omologazione, che raggiunge il suo apice nella più modaiola tra le città italiane. La serata è aperta dagli Orange di Francesco Mandelli (per intenderci, il “Non Giovane”di MTV, ultimamente impegnato anche nei cinepanettoni dei Vanzina), ennesima dimostrazione di come in Italia spesso si sia costretti a lasciare da parte la qualità artistica per campare. A differenza delle sue penose prestazioni televisive, il live della band è piacevole e non banale. Trattasi di semplice garage rock, ma di discreta fattura, con una manciata di ottimi brani che farebbero comodo a tante band inglesi attualmente in voga. Dopo la chiusura dell’esibizione degli Orange con una cover di “Molly’s Chambers” dei Kings Of Leon, finalmente salgono sul palco i Wombats, protagonisti di una esibizione che mi fa parzialmente ricredere sul loro conto. Nonostante disponga di un repertorio limitato e non certo originale, il trio di Liverpool riesce ad impostare un live divertente che manda (eccessivamente) in estasi i presenti. A differenza di band come Arctic Monkeys e Babyshambles, i Wombats hanno fatto tesoro di quel patrimonio musicale inglese che sono i New Order: non solo chitarra-basso-batteria, ma anche tantissimo sintetizzatore. Lo stile non è certo quello di Bernard Sumner e soci, ma si intravedono importanti segnali di miglioramento: se tre anni fa una canzonetta come Let’s Dance To Joy Division era il loro (imbarazzante) biglietto da visita, stavolta la situazione migliora grazie alle convincenti canzoni del secondo album (il più che sufficiente “This Modern Glitch”): Our Perfect Disease, Tokyo, Jump Into The Fog e la trascinante Techno Fan (miglior brano della serata) ci consegnano una band capace di fare ottimo synth pop, con alcune divagazioni strumentali che lasciano intravedere incoraggianti segnali futuri. Un cenno a parte merita il norvegese Tord Øverland-Knudsen, bassista nonchè ottima seconda voce della band: scatenato durante tutto il live, ha evidentemente sentito il dovere di aiutare Matthew Murphy (alle prese con una fresca dipendenza da antidepressivi) a tenere la scena, riuscendoci con successo. Solo il futuro ci dirà se i Wombats sprofonderanno nell’anonimato o sapranno distinguersi con una ulteriore crescita musicale. In bocca al lupo.
SETLIST: Our Perfect Disease – Kill The Director – Party In A Forest (Where’s Laura?) – Jump Into The Fog – Patricia The Stripper – How I Miss Sally Bray – Here Comes The Anxiety – Techno Fan – Schumacher The Champagne – Backfire At The Disco – 1996 – Moving To New York – My First Wedding – Tokyo (Vampires & Wolves) —encore— Anti-D – Let’s Dance To Joy Division
(Let’s Dance To Joy Division live @ Alcatraz, Milano)
* Foto d’archivio
A cura di Karol Firrincieli