Bissare una line up di altissimo livello e un successo di pubblico come quelli dello scorso anno (su tutti, ricordiamo la presenza di Pere Ubu e Mogwai) era per gli organizzatori di Ypsigrock un’impresa a dir poco ardua, date le enormi difficoltà di mettere in piedi eventi del genere in Italia e in Sicilia in particolare. Nonostante ciò, quest’edizione 2012 (la sedicesima) del festival è riuscita in pieno ad eguagliare le aspettative, mantenendo il giusto connubio fra nomi di richiamo e realtà emergenti fra le più interessanti dell’intero panorama mondiale. A prezzi contenuti e in una location incantevole che aggiunge di per sé tanto ad ogni concerto.
Come di consueto l’apertura di Ypsigrock è affidata alle band vincitrici del concorso “Avanti il prossimo”, dedicato dall’organizzazione alle nuove realtà: per la prima serata tocca a Gentless3 e Altre di B fungere da apripista. La timeline (e sarà questa una costante dell’intero festival) viene rispettata rigidamente e così quando i Gentless3 sono sul palco Piazza Castello non può certo dirsi gremita. La formazione siciliana si presenta con una line up nuova – e ampliata – rispetto al recente passato, ma il sound polveroso che la caratterizza resta praticamente intatto, suscitando un notevole apprezzamento fra i presenti. Stesso risultato ottenuto dai bolognesi Altre di B, col loro mix di indie rock e punk, non una novità per il periodo ma di certo ben calibrato. I primi “big” di questa edizione avrebbero dovuto essere i canadesi Trust, che a pochi giorni del festival hanno però cancellato il tour europeo che avrebbe dovuto portarli fino in Sicilia. Tocca quindi agli Of Montreal infiammare la piazza, freschi del loro ultimo lavoro “Paralytic Stalks”, dato alle stampe a Febbraio. Già qualche minuto prima dell’inizio dello show, Kevin Barnes fa capolino on stage per gli ultimi accorgimenti all’attrezzatura e il suo “sobrio” abito da geisha rende alla perfezione il personaggio. Quando alle 22.05 la band sale sul palco, l’abitino ha lasciato spazio a una sgargiante camicia rossa da corte di Francia. Il ritmo a tratti funky si addice alla perfezione al continuo dimenarsi della band: vedi Plastis Wafers, durante la quale le movenze e gli ammiccamenti di Barnes raggiungono quasi l’apice. Quasi, perché l’apice arriverà subito dopo, quando deciderà di spogliarsi della camicia prima, per poi uscire di scena e infine rientrare sul palco con di nuovo la camicia addosso… ma stavolta senza pantaloni, sostituiti da un indumento di cui non capiamo la natura: mutande o gonnellina? Lo spettacolo messo in piedi dagli Of Montreal va ben oltre il pregevole aspetto musicale, con Barnes anfitrione assoluto, a metà strada fra il David Bowie più glam e una navigata pop star. La conclusione è affidata a The Past Is A Grotesque Animal, estratta da “Hissing Fauna, Are You The Destroyer?”, caposaldo degli Of Montreal datato 2007. Lunghissima e scrosciante, chiude il set di una band in evidente stato di grazia che dura ormai da molti anni. Alle 23.30 è la volta dell’headliner di questa prima serata di Ypsigrock: Stephen Malkmus & The Jicks. L’ex leader dei Pavement è uno dei più attesi del weekend, forte com’è del suo status di leggenda dell’indipendente americano. La voce di Malkmus è pulita, canta curvato su un’asta del microfono leggermente più bassa del necessario, com’è sua abitudine. I The Jicks da Portland sembrano piuttosto affiatati fra loro nel ripercorrere il repertorio da solista di Malkmus, che scherza coi tre augurandogli anche un “good luck” prima di un pezzo su cui magari s’era avuto qualche imprevisto in precedenza. Nonostante ciò, la performance della band non si può di certo annoverare fra le più ispirate, un po’ monocorde e statica. Ma a risollevare le sorti di un’esibizione apprezzabile seppur non epocale ci pensa la chiusura affidata a Summer Babe, classicone dei Pavement che accende una platea che a quanto pare non aspettava altro (a parte una voce costante e fastidiosa che, alla fine di ogni pezzo, invita la band ad eseguire “Pink India”, brano contenuto nell’omonimo esordio da solista di Malkmus).
Causa fila al casello autostradale (dovremmo scrivere un articolo a parte a tal proposito), arriviamo a Castelbuono che i VeneziA – altra band vincitrice di “Avanti il prossimo” – stanno per concludere il proprio live. Ma giusto in tempo per assistere fin dal primo minuto all’esibizione dei DID da Torino: elettronica danzereccia e un giusto connubio fra campionamenti e una vera batteria, piuttosto che l’abusata (in ambito electro) drum machine. Da programma e manifesti non sarebbe toccato a loro, ma tant’è: sono gli Shabazz Palaces che alle 21.35 si piazzano al centro del palco, su due postazioni piene di roba. Mac, piatti e grancassa, tamburi, synth, etc. Il duo da Seattle è una delle ultime rivelazioni di casa Sub Pop, ma col grunge non hanno nulla a che vedere: la loro proposta sonora, infatti, è un hip hop commistionato con diversi altri elementi. Trip hop, elettronica ed etnicismi condiscono i brani di Ishmael Butler e Tendai Maraire, i due si muovono in sincro – vedi durante Are You… Can You… Were You? (Felt) – e un fumo che sa tanto clubbing sgorga a iosa alle loro spalle. E’ questo l’hip hop che piace a noi, non quello da classifica. Dunque promossi a pieni voti gli Shabazz Palaces, anche dal vivo. Alle 23.00 è la volta dei We Were Promised Jetpacks che, a quanto si sente mormorare, sono in molti ad attendere. Lo ammettiamo, non c’hanno mai convinti al 100%, ma è ovvio che la dimensione live sia tutt’altra cosa. Rumoristici, a tratti ai limiti del noise, sessione ritmica potentissima, lunghi ed annacquati momenti strumentali che sanno tanto post rock, gli scozzesi su un palco sono altra roba rispetto al disco, condendo il loro indie rock da studio con una capacità espressiva e una tecnica di tutto rispetto. Oltretutto, saranno praticamente gli unici del weekend a scatenare il pogo nelle prime file (piccolo appunto: ragazzi, se dovete riprodurvi non fatelo durante un concerto rock a rischio pogo, potrebbe saltarvi un dente, un pezzo di lingua o peggio… e la volta dopo non sarebbe più ugualmente piacevole il vostro incontro amoroso). Venti minuti dopo la mezzanotte arriva il momento di Andrew Hung e Benjamin John Power, ovvero i Fuck Buttons. Il duo da Bristol (toh, una città a caso) si piazza attorno a un’enorme consolle al centro del palco, ferri del mestiere di un progetto che sta facendo parlare di sé per la sua trasversalità: elettronica, drone, venature post rock, sferzate noise e sperimentalismo estremo sono gli ingredienti della ricetta dei Fuck Buttons. Il loro sound acido e saturo si propaga a volumi davvero altissimi per tutta la piazza (e, ne siamo sicuri, anche ben oltre i confini del Comune di Castelbuono), tanto che molti – noi compresi – decidono di allontanarsi un po’ dal palco per evitare la sordità. Hung e Power si accaniscono sulle proprie diavolerie così come un chitarrista violenta la sua sei corde, dando un perfetto esempio di come anche la musica elettronica (a voler essere generici nel definirli) possa essere dannatamente rock.
Serata conclusiva che, come sempre per un festival che si rispetti, prevede i fuochi d’artificio finali. Ad aprire le danze ci pensano alle 21.00 bollate gli Alt-J, una delle new sensation di quest’anno con “An Awesome Wave”, nonché band fra le più attese da Il Cibicida stesso. La setlist proposta dai quattro inglesi comprende per intero il loro finora unico album e, nonostante la giovanissima età del progetto, il battimani e l’accompagnamento corale del pubblico dimostrano come tanti dei brani siano già più che noti. Tessellate, Fitzpleasure e Matilda le più apprezzate. Il frontman Joe Newman è visibilmente colpito dall’attenzione della piazza quanto dall’indiscutibile bellezza della location, tanto da farsi sfuggire ben più di una volta la frase “it’s fantastic to be here in Sicily”. Parole che almeno stavolta non sembrano essere di circostanza. Il cambio palco che precede la band seguente dura più del previsto: qualche problema con synth e tastiere non permette ai Django Django di rispettare la timeline. Alle 22.15 gli scozzesi riescono finalmente a dare inizio alla propria performance. Magliette “d’ordinanza” bordeaux con macchie azzurre, trasformano in pochi minuti Piazza Castello in un grande dancefloor indie rock. I synth di Tommy Grace percorrono i brani della band da cima a fondo (vedi Love’s Dart), mentre il frontman Vincent Neff non lesina interazione col pubblico, soprattutto quando i problemi al banco di Grace si rifanno sotto producendo due false partenze di WOR. Alla fine pure questo brano viene eseguito e anche i Django Django lasciano il palco con una certa soddisfazione per questo loro “first italian festival, it’s great!”. Una batteria rossa sgargiante faceva capolino in fondo al palco già ad inizio serata, con quella macchia gialla, azzurra e nera al centro della grancassa. Stiamo parlando, ovviamente, dei colori e della copertina di “Screamadelica”, senza troppi giri di parole uno degli album più importanti degli anni ’90. E per chiudere questa edizione di Ypsigrock sono stati chiamati ad esibirsi proprio i Primal Scream di Bobby Gillespie, un bel pezzo di storia del rock. La chiusura col botto che da qualche anno a questa parte l’organizzazione del festival riserva al proprio pubblico. L’inizio è al fulmicotone con Movin’ On Up, Gillespie comincia a saltare e dimenarsi per tutto il palco, rendendo a dir poco difficile il compito dei fotografi ai suoi piedi. E si dimena così tanto che, in un attimo di disattenzione, precipita giù dal palco complice qualche filo aggrovigliato, proprio sotto i nostri occhi. Senza batter ciglio si rialza per continuare il suo show, che vede assoluto protagonista il già citato album del ’91. Ci sono persino la lunghissima Loaded e l’altrettanto lunga Come Together, entrambe cantate a squarciagola da tutto il pubblico. L’ex My Bloody Valentine Debbie Googe (sostituta di Gary “Mani” Mounfield rientrato negli Stone Roses) pesta a dovere il suo basso e fra una dedica a Pier Paolo Pasolini, giochi di luci accattivanti e un paio d’inediti che verosimilmente rientreranno nel nuovo album della band, la setlist dei Primal Scream propone anche brani extra-Screamadelica come Swastika Eyes (da “XTRMNTR” del 2000) o la più recente Country Girl (da “Riot City Blues” del 2006). Gillespie si dimostra animale da palcoscenico come pochi altri frontman, mai un momento di pausa per lui e i suoi compagni, e la sintonia col pubblico è totale, con adolescenti e cinquantenni che si mischiano in un’unica e continuata danza giù dal palco. Passati pochi minuti dopo l’una Gillespie decide che è il momento di “ritirarsi”, regala un tamburello a qualcuno nelle prime file e pone fine tanto al concerto dei Primal Scream quanto ad un’altra edizione da brividi di Ypsigrock. L’anno scorso s’era detto di come questo sia probabilmente il miglior festival d’Italia… ecco, quest’anno levate pure il “probabilmente”.
A cura di Emanuele Brunetto