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Radiohead

Siamo a Oxford, durante la metà degli anni ‘80, precisamente nel 1986. Il rachitico Thom Yorke e Colin Greenwood, compagni alla Abington School, decidono che le ambizioni del gruppo punk TNT potevano considerarsi terminate. Così, ingaggiate le prestazioni di Ed O’Brian alla chitarra, di Phil Selway alla batteria e trascinato dentro anche Jonny Greenwood, fratellino di Colin e talento del violino, fanno nascere gli On A Friday. Il debutto arriva nel 1987. Dopo una dozzina di avventure live nei locali e nei club, nel 1991 arriva il passo decisivo: il contratto firmato con la EMI Records. È di quel periodo anche la decisione di far fuori il vecchio nome per trasformarsi in Radiohead, prendendo spunto dall’omonima canzone dei Talking Heads contenuta nell’album “True Stories”. E c’è questo singolo, questo singolo devastante che proprio non lascia indifferenti nessuno. Si chiama “Creep” e il testo recita: «Sono uno sfigato, sono un mostro, che diavolo ci faccio qui? Questo posto non fa per me». È il disagio degli anni Novanta, lo spaesamento di una generazione e quella di una nuova stagione musicale.

 

PABLO HONEY (1993)

Un rock grintoso, deciso, fresco e la forza-traino spaventosa di “Creep” con la sua memorabile chitarra strattonata, presentano al mondo una band nuova e intrigante. I Radiohead suonano la paranoia e la noia. «Ho una lamentela, ma non ricordo quale sia» canta Thom Yorke, un leader strano, stranissimo ma magnetico. E il mondo scopre che in Inghilterra c’è una scena nuova: quella del britpop.

Brano consigliato: Stop Whispering – In breve: 3/5

 

MY IRON LUNG (1994)

Il doppio EP, copertina blu e copertina rossa, è il modo dei Radiohead di battere il ferro finché caldo. Memorabile la versione acustica di “Creep” (traccia extra della riedizione del ’97 che riunisce i due EP) che anticipa un tema musicale che sarà molto caro ai Radiohead del futuro: i brani senza spine.

Brano consigliato: My Iron Lung – In breve: 2,5/5

 

THE BENDS (1995)

L’uscita del disco dice almeno due cose: la prima è che, a inizio Novanta, non è detto si debba andar giù per forza di chitarre elettriche dal sapore seattleiano (il grunge); la seconda è che i Radiohead hanno un senso spiccato per la melodia, per così dire, “classica”. “The Bends” quindi è un albo emozionante, denso, struggente. “High And Dry”, “Fake Plastic Tree”, sono ballate in puro stile brit, con una chitarra acustica a dettare i tempi e con la voce di Thom che, tra falsetti e suggestive sporcature, ci parla dei tormenti che lo riguardano. Il successo arriva: il viaggio con gli R.E.M. nel loro Monster Tour e la partecipazione alla colonna sonora di “Romeo + Juliet” di Baz Luhrmann li consacrano definitivamente.

Brano consigliato: Street Spirit – In breve: 4/5

 

OK COMPUTER (1997)

L’automatismo, la freddezza delle città industriali con quella solitudine, quella psicosi del tempo perduto: tutto questo è “Ok Computer”. «Vivo in una città dove non si sente neanche un odore», canta Yorke ed è lui la vittima dei numeri, è lui il turista disorientato (“The Tourist”), l’androide paranoico (“Paranoid Android”). La sua ossessione è l’elastico che si allunga ad allacciare i brani. Sulla cover, oltre a intrecci stradali di una città non precisata, la scritta “Lost Child” e un bambino: quel bimbo impaurito, con le mani sulla testa, è Thom e anche il genere umano più in generale. Ed è anche il “Kid A” che si scoprirà più in avanti. “Ok Computer” prende la musica dei Radiohead e la deforma. Ballate, elettronica, jazz, ninnananne, la band mischia le carte abbandonando gli stilemi di una musica anglosassone che ormai è stretta da strozzarli. “Stop”, è deciso: il gruppo non esiste più, c’è solo un nome e una musica, il resto non conta. Non importa del mercato, dell’industria. I Radiohead smettono di essere una rock band per diventare un concetto.

Brano consigliato: Karma Police – In breve 5/5

 

KID A (2000)

“Non sono qui, questo non sta accadendo”. Nell’ottobre del 2000 viene celebrato il battesimo di un bimbo inatteso, forse bastardo, illegittimo, prole del nuovo millennio. “Kid A” vede la luce senza alcuna presentazione ufficiale, accompagnato da nessun video e senza la promozione di alcun singolo. Solo internet e i blips che passano attraverso il sito ufficiale di un web ancora 1.0. Tutto è nascosto sotto un velo nero. La voce di Thom Yorke poi è storpiata, la chitarra di Greenwood è incastonata in quintali di mini effetti d’elettronica e sampler e poi ancora batterie elettroniche e sintetizzatori, fiati, archi e vibrafono, pianoforti e tastiere, vanno a completare la rivoluzione musicale dei Radiohead. Sono lontani anni luce la scarica elettrica di “Creep” e le ballate di “The Bends”, qui il concettuale annichilisce l’empirico, la band decide di disintegrare la propria immagine a favore di un messaggio musicale tutto da decifrare. Il risultato è emblema di un tempo: il presente.

Brano consigliato: Morning Bell – In breve 5/5

 

AMNESIAC (2001)

Solo un anno più tardi si viene a sapere che, durante il parto-session di “Kid A”, un fratello gemello (forse siamese) aveva visto la luce. Presentato al mondo col nome di “Amnesiac”, sfoggia stessi lineamenti e stessi occhi del precedente. Se “Kid A” era un tripudio di sperimentalismo e ibridazioni, con la pubblicazione di “Amnesiac” si capisce, in maniera definitiva, che i Radiohead hanno imboccato una strada nuova e imprevedibile. Qualcuno prova a chiamarlo post rock, altri avvistano l’impronta del nuovo millennio virtuale, ma la sostanza è che i Radiohead stanno frantumando il ricordo di se stessi, della loro musica e dell’antica forma canzone, fino a farne uscire un succo nuovo, inedito e forse più autentico. Thom anche qui si nasconde sotto a una voce “non sua”. Gli effetti, la stratificazione, la tecnologia applicata al missaggio, la drum machine e la chitarra ossessiva/ripetitiva di Jonny, creano un disco martoriato dalla tristezza e dalle percosse della follia.

Brano consigliato: I Might Be Wrong – In breve: 4/5

 

HAIL TO THE THIEF (2003)

La strada dello sperimentalismo dei Radiohead è segnata, ma poi succede qualcosa che proprio non si poteva prevedere: l’11 Settembre americano è una tragedia immane, così come la reazione degli U.S.A. condotta da George Bush con le guerre in Iraq e Afghanistan. Il “war president” diviene l’uomo più discusso del mondo anche per alcune scelte rivedibili in ambito economico e sociale. Insomma, il “ladro” citato nel titolo del nuovo disco è proprio lui, soprattutto in relazione a dubbie dinamiche elettorali. Le contraddizioni di Bush e della sua amministrazione diventano, così, il pretesto per parlare dello sfascio del mondo, rappresentato efficacemente nella copertina come montagna dei vizi. Nel disco si avverte una tensione palpabile, politica. La condizione umana è quella del pericolo permanente, dell’incertezza. Con “2 + 2 = 5”, poi, Yorke cita direttamente “1984” di Orwell e i timori d’esser controllati e manipolati. Da un punto di vista musicale, la band mostra di riappropriarsi di qualche chitarra in più (“There There”) e di una linearità maggiore. Un disco da battaglia.

Brano consigliato: A Wolf At The Door – In breve: 3,5/5

 

IN RAINBOWS (2007)

Nei quattro anni successivi un silenzio assordante avvolge le vicende dei Radiohead. Dove sono? Cosa fanno? Nel 2006 ci si mette pure Yorke che debutta con il suo primo disco solista (“The Eraser”), mostrando come la band abbia bisogno di rifiatare. Poi un sussulto, d’improvviso, in un normale giorno d’ottobre: sulla homepage della band colorata da tinte di un arcobaleno “pixelato” spunta la scritta: “Radiohead have made a record. So far, it’s only available from this website”. Boom. È un colpo di scena. I Radiohead sono pronti per una nuova rivoluzione, non più musicale ma di fruizione, perché “In Rainbows” è messo a disposizione su internet “a offerta libera”. Nessun supporto fisico, nessun CD (almeno inizialmente). Chi scarica l’album si ritrova sul computer una cartella digitale contenente, oltre alla musica, materiale inedito, fotografie e diavolerie multimediali. Un vero scacco matto al mercato discografico e alle sue regole decennali. E le canzoni? Un ritorno al passato: pop, melodie, bellezza, luce. Canzoni da cantare con sentimento e ispirazione anche se segnate da una vena di ambiguità. Un arcobaleno acido dopo una pioggia acida.

Brano consigliato: All I Need – In breve: 4,5/5

 

THE KING OF LIMBS (2011)

Lo sconquasso. Ecco cosa succede al mercato del disco negli anni seguenti. L’industria va a picco, tante band mollano le etichette per prodursi autonomamente. E i Radiohead pure, ovviamente, perché a partire dall’arcobaleno di “In Rainbows” una nuova epoca è iniziata. “The King Of Limbs” è un disco che torna a sperimentare come ai tempi di “Kid A”, ma che forse di quel laboratorio non trattiene la curiosità pura. Il risultato è un albo difficile, cervellotico, pessimista… proprio come lo è il nuovo millennio iper tecnologico.

Brano consigliato: Lotus Flower – In breve: 2,5/5

 

A MOON SHAPED POOL (2016)

Cinque anni sono tanti, ma non nell’universo parallelo dei Radiohead. Anni di vita, di cose, di esperienza. E riflessione. Quella che spinge Thom e compagni a riportare alla luce alcune canzoni rimaste imprigionate sotto la patina del tempo. Canzoni mai incise, ma spesso bagaglio live della band. Queste più altri episodi, invece, nuovissimi, compongono un disco liquido e trasognante, dolce, ammaliante, con qualche ombra (certo), ma fondamentalmente pacato come l’acqua di una piscina. Nel video di Daydreaming, girato da Paul Thomas Anderson, Yorke si muove curioso in un percorso indefinito di ambienti, porte e stanze ma alla fine si ferma esausto al fuoco di un falò. La ricerca dei Radiohead (quella dell’avanguardia), finisce qui?

Brano consigliato: The Numbers – In breve: 4/5

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