Cosa aspettarsi dunque dagli A Perfect Circle attuali? Band che da una grossa fetta di pubblico e addetti al lavoro è spesso stata percepita come fratello minore dei sopracitati Tool; definita anzi più volte dallo stesso Keenan come una rappresentazione femminile del suo estro, più delicata e perché no, ordinata, ma comunque raffigurazione concreta di sensazioni profonde quali la malinconia e il diniego, slegate in parte dalla cervellotica follia tooliana.
Eat The Elephant è dal primo ascolto un disco che genererà dibattito tra i più critici, nel bene e nel male. Chi si aspettava (o auspicava) sonorità di un’altra decade rimarrà legittimamente deluso; è un lavoro che questiona ripetutamente con il rock, mettendone in discussione la sovranità in quasi ogni brano. Howerdel, da sempre espressione aristocratica della chitarra alternative, spazia da crude influenze grunge a melodiche assonanze indie con la solita maestria, sebbene prediliga con maggior favore ritmi più pacati e maturi. Maynard James Keenan, voce cangiante per eccellenza, si diletta in vocalizzi più dolci e acuti rispetto al passato specialmente in due brani quali la title track Eat The Elephant e la lussuosa The Contrarian, dal velato sapore Radiohead quasi impercettibile a un primo assaggio.
“Eat The Elephant” è lavoro vario e pomposo, combinazione di frammenti eterogenei frutto di una incubazione prolungata e diluita nel tempo. Le influenze sono le più disparate, dall’elettronica incalzante di Hourglass al rock ricercato del singolo Disillusioned, un brano che ai più attenti potrebbe ricordare in parte le migliori composizioni dei Death Cab For Cutie. Azzeccata la scelta dei singoli: The Doomed, TalkTalk e So Long, And Thanks For All The Fish sono confessione di un impegno notevole in sede di scrittura e tra i pezzi più riusciti di tutto l’album.
By And Down The River merita invece un plauso particolare, lo studio degli arrangiamenti erompe in una canzone esente da punti deboli e riuscita in ogni minima peculiarità, dalle strofe al solo di Howerdel. La chiusura, in contrasto, è senza dubbi la parte meno riuscita del platter: Feathers e Get The Lead Out sono semplicemente due episodi quasi trascurabili e dalla qualità contestabile, in via principale per una ripetitività non contemplabile e in opposizione al resto del pacchetto.
Bello, studiato, mainstream ma non commerciale, riflessivo e spesso coinvolgente, “Eat The Elephant” è, complice tempo e spazio, emancipazione e maturità di un progetto ora finalmente realtà esclusiva e indipendente. Sia nelle parti più riuscite che in quelle meno azzeccate, non brilla però per personalità propria quanto più di quella travolgente dei propri interpreti, capaci di manipolare estrazioni ed emozioni contrastanti con la naturale saggezza di chi la musica è avvezzo a condurla e mai a subirla. Di sicuro uno sforzo apprezzato, ma davvero necessario? Solo se non prova estemporanea e incipit di una costanza ritrovata, ben attesa da tutti.
(2018, BMG)
01 Eat The Elephant
02 Disillusioned
03 The Contrarian
04 The Doomed
05 So Long, And Thanks For All The Fish
06 Talktalk
07 By And Down The River
08 Delicious
09 DLB
10 Hourglass
11 Feathers
12 Get The Lead Out
IN BREVE: 3,5/5