Una rinnovata e nuova attenzione dedicata alla scena musicale del Paese risale all’inizio del millennio. Lo spunto fu il lavoro del regista Fatih Akin, nato ad Amburgo ma di chiare origini turche – la Germania del resto si può considerare come una seconda patria per moltissimi immigrati – pluripremiato per il suo film “Gegen die Wand” (2004), conosciuto in Italia con il titolo “La sposa turca”. La realizzazione della colonna sonora fu di Alexander Hacke, tra le altre cose storico componente degli Einsturzende Neubauten, alle basi di una successiva collaborazione per il film documentario dedicato alla scena musicale di Istanbul “Crossing the Bridge” del 2005.
Osman Murat Ertel e i Baba ZuLa erano anche loro presenti nel documentario. Sulle scene sin dalla metà degli anni Novanta, nel 2017 in occasione del ventennale del gruppo la Glitterbeat ha pubblicato un doppio album intitolato “XX”, praticamente una sorta di compilation; un anno dopo Murat Ertel è entrato a far parte del progetto Dirtmusic. “Bu Bir Ruya” è stato registrato anche a Istanbul ed è costruito in buona parte anche sul suono del suo caratteristico saz elettrico.
C’è chiaramente un continuum in questo processo di cui Derin Derin costituisce l’ultimo tassello fino a questo momento. Il disco vede il gruppo ritornare in studio per la prima volta dal 2014, inizialmente per lavorare alla colonna sonora di un documentario sui falchi, ma i suoni si sono via via arricchiti e andati a strutturare fino alla realizzazione del disco. I riferimenti? L’anatolian rock degli anni Cinquanta-Sessanta ovviamente, ma Murat Ertel parla della sua devozione per Miriam Makeba e Harry Belafonte e poi menziona cose più particolari come il coro dell’armata rossa. Indimenticabile tuttavia lo storico legame con il mentore Jaki Liebezeit dei Can, quindi il kraut rock.
“Derin Derin” è tutte queste cose assieme e allo stesso tempo qualcosa di completamente diverso. È un disco acido, le percussioni sono minimal ma hanno un carattere ossessivo, quasi rituale, più che una somma di influenze si può parlare effettivamente di un suono suo specifico e peculiare: il suono del saz elettrico è chiaramente l’impronta più riconoscibile, il cantato è ipnotico, accresce la sensazione di ritrovarsi in una sorta di stato subliminale e acido, fino a creare vere e proprie forme di dub sotterraneo.
Quello che colpisce è che a un primo ascolto questa ricchezza di suoni potrebbe persino passare inosservata, perché non ha quella allegoria spettacolare oppure quella artificialità che ti fa tirare in ballo la world music: non è un disco difficile, affatto, ma devi ascoltarlo più volte per entrare nella giusta dimensione, che non è affatto esotica ma è quella di una delle città più grandi e ricche di storia e di contraddizioni e contrasti del mondo. Dentro le note, ci sono delle chiavi di volta per aprire le porte di Costantinopoli: una volta dentro, vi si apre davanti una dimensione unica, una Babele di suoni che unisce da una riva all’altra lo stretto del Bosforo. Se tutto questo vi spaventa, meglio restarne fuori.
(2019, Glitterbeat)
01 Haller Yollar
02 Sahin Iksiri
03 Kizil Gozlum
04 Ruzgarin Akisi
05 Salincaksin
06 Kervan Yolda
07 Por Pass
08 Kosmogoni
09 Kurt Kapma
10 Transendance
IN BREVE: 3/5