Incentrato sulla storia di una sposa che perde l’amato in un incidente stradale il giorno stesso del matrimonio, “The Bride” indossa per sua natura le vesti di una virtuale colonna sonora che accompagna la narrazione e le immagini. Il pop degli esordi viene definitivamente meno, Khan si dimostra progenie artistica della Kate Bush più sepolcrale, ma anche di Joni Mitchell o di Nico: Honeymooning Alone ne è perfetta sintesi e rappresentazione. Di pari passo, anche l’aspetto mistico, da sempre nelle corde di Bat For Lashes ed esploso del tutto nel recente progetto Sexwitch, trova sua definitiva consacrazione in un brano come Widow’s Peak (ma anche in svariati altri passaggi dell’album).
Le melodie delle tredici tracce appaiono parecchio appesantite da un impianto strumentale semplice ma ridondante, fatto di strati che si sovrappongono fino a ottenere l’effetto – immaginiamo – desiderato: impregnare i brani di ulteriore drammaticità, con un fare sinistro e oscuro.
Insomma, una volta compreso il concept, compresa la piega che Natasha ha deciso di dare al suo lavoro, compresi i chiari riferimenti classici (alla tragedia greca), resta una drammaticità esasperata che non consente all’ascoltatore di accedere, scavare, carpirne e condividerne il dolore, bloccato in un limbo che non permette alcun tipo di approfondimento. Un album complesso ma anche molto, troppo personale.
(2016, Parlophone)
01 I Do
02 Joe’s Dream
03 In God’s House
04 Honeymooning Alone
05 Sunday Love
06 Never Forgive The Angels
07 Close Encounters
08 Widow’s Peak
09 Land’s End
10 If I Knew
11 I Will Love Again
12 In Your Bed
13 Clouds
IN BREVE: 2,5/5