Se col debutto “Cold.” (2011) il concept era assecondato da glaciali sferzate shoegaze ed etereo dream pop, col successivo “Earthbeat” (2014) l’ago della bilancia s’era spostato verso suoni più carnosi e caldi. Toccati il cielo prima e la terra poi, era adesso la volta delle profondità degli abissi, lì dove non filtra mai un seppur minimo raggio di luce. Knocturne, così, è una lenta e inesorabile discesa nelle paure più ancestrali, affrontata in un’apnea sempre sull’orlo del soffocamento.
Un’apnea che ha inizio con la strumentale Atto I, quando le acque sono ancora trasparenti, per poi progredire sempre più rapidamente in parallelo con la sezione ritmica marziale di Empty Space, Gemini e K. Con Sigfrido, perno centrale del disco, il dado è definitivamente tratto: la densità liquida s’impossessa delle trame dei Be Forest, che adesso galleggiano – e noi con loro – in un limbo riverberato.
La seconda strumentale Atto II inaugura l’altro lato di “Knocturne”, quello in cui è prossimo l’arrivo sui fondali: Bengala e Fragment sono perentorie, l’ossigeno non serve più perché nelle arterie al suo posto scorre il buio, l’ultimo sforzo prima di You, Nothing, la necessaria e salvifica decompressione della risalita.
Se amate le tenebre, se quel sipario nero in copertina vi attrae terribilmente piuttosto che inquietarvi, se volete sapere cosa sarebbe venuto fuori se Hope Sandoval avesse portato il suo stile e la sua voce ai Cure di “Seventeen Seconds”, “Faith” e “Pornography”, allora spegnete la luce, attaccate il jack delle cuffie e premete play su “Knocturne”. La suggestione è più che garantita.
(2019, We Were Never Being Boring)
01 Atto I
02 Empty Space
03 Gemini
04 K
05 Sigfrido
06 Atto II
07 Bengala
08 Fragment
09 You, Nothing
IN BREVE: 4/5