Poteva essere una nuova e interessantissima fase della sua carriera, quella, se solo la scelta definitiva fosse ricaduta sul rimanere songwriter in senso stretto. Così non è stato e ci ritroviamo dunque difronte a una Beth Orton che ha mischiato nuovamente le carte in tavola tirando fuori dal mazzo la prima scartata. Con Kidsticks l’inglese fa un passo indietro in termini di approccio e un altro in avanti all’interno dell’approccio stesso: co-prodotto da Andrew Hung (metà Fuck Buttons), circostanza tutt’altro che secondaria, l’album la ripresenta alle prese con i loop elettronici (cui ha dichiarato di essersi ampiamente dedicata negli ultimi anni) e con dieci tracce che provano in qualche modo a far incontrare le sue due anime.
Il risultato è un lavoro che sfrutta la modernità delle soluzioni odierne (di cui Hung è indiscutibile maestro) senza perdere troppo di un impianto folk che si fa così folktronica: il singolo Moon si fregia di beat ai confini del trip hop, mentre 1973 ha un mood à la St. Vincent che suona fresco e – come si diceva – moderno, così come l’andamento quasi spoken di Corduroy Legs. I bagliori che Hung declina in chiave notturna nei Fuck Buttons prendono in Dawnstar la via diurna, impregnati dai raggi di quel sole californiano che da un po’ di tempo la Orton ha deciso debba splendere sulla sua vita.
Ma è Snow, col suo ricordare da vicinissimo l’ultima Cat Power, a segnare già a inizio tracklist la strada percorsa, peraltro in buona compagnia: in “Kidsticks”, infatti, Beth ha collaborato sì con Hung, ma anche con Alain Johannes (già nei Queens Of The Stone Age e qui impegnato nella registrazione delle voci), Twin Shadow (alle chitarre elettriche), Chris Taylor dei Grizzly Bear (suoi i cori e il basso) e Dustin O’Halloran (archi e piano), un parterre de rois che tra passato e presente ha aiutato la Orton a centrare nuovamente il bersaglio.
(2016, Anti-)
01 Snow
02 Moon
03 Petals
04 1973
05 Wave
06 Dawnstar
07 Falling
08 Corduroy Legs
09 Flesh And Blood
10 Kidsticks
IN BREVE: 3,5/5