E poi, ecco il tratto decisivo, è un disco che guarda il mondo da dentro senza mai attraversarlo. Mai. Insomma, ci stai comodo nel salotto di “Dream River”, ma è come assistere a un film che racconta i tepori del suo autore, ormai intonacato di sacralità e investitosi del ruolo di cantore del naturalismo. E’ così che la primavera pennellata da Callahan in Spring (servito nel servizio buono un infuso di strumenti delicati: dal flauto traverso, ai bonghi appena sfiorati e poi piatti e chitarre fumé) sfoggia immaginari privi di alcun frizzore.
E’ così che l’inverno acustico di Winter Road è freddo, sì, ma solo sottopelle. E succede che il volo di Small Plane è puramente immaginifico o che il canto di The Sing provenga da territori profondissimi ma fuoriuscendo solo appena dai denti di Bill (“Drinking… while sleeping… strangers… unknowingly… keep me company…”). Ed è un fatto anche che la freccia di Ride My Arrow voli in aria volteggiando una punta completamente arrotondata e innocua.
Mai che scoppi una lampadina o che si rovesci una teiera bollente nel salotto di Bill Callahan. Mai un incubo da affogare in questo fiume di pensieri. Solo una casa, un lampadario e l’alone di un’alitata sulla finestra a seguire il passaggio delle stagioni. Come dire: anche per questa volta non è tempo di apocalissi, magari domani, magari un’altra volta.
(2013, Drag City)
01 The Sing
02 Javelin Unlanding
03 Small Plane
04 Spring
05 Ride My Arrow
06 Summer Painter
07 Seagull
08 Winter Road
IN BREVE: 3,5/5