Senza perdersi in tecnicismi fini a se stessi, il trio di Baltimora compone brani che toccano tutti gli schemi del genere: strutture ritmiche tortuose, chitarre fangose e spigolose, una leggera vena psichedelica che ammorbidisce la tavolozza cromatica.
Nel modo in cui coniano i riff, i Cavern ricordano gli eccellenti Baroness dei primi due lavori (“The Red Album” e “Blue Record”) e, a tratti, volgono lo sguardo al math-core dei Keelhaul. Sono bravi nel creare flussi narrativi interamente strumentali e hanno una spiccata sensibilità melodica, come dimostrano nei temi di Garrett e della title track o nelle eleganti aperture in puro escapismo post-rock di Ithican. Hanno inoltre uno spirito epico che li avvicina ai Russian Circles e ai Mastodon di “Leviathan” (Braddock, Lotus Eater), non si perdono in passaggi autocelebrativi e mantengono sempre alta la tensione.
Sebbene siano derivativi, i Cavern affrontano la prova con cognizione e convinzione e con un coefficiente tecnico e creativo che ha poco da invidiare ai nomi più blasonati del genere. Peccato solo siano venuti fuori così tardi.
(2015, Grimoire House)
01 Garrett
02 Lotus Eater
03 Outsiders
04 Hawkeye
05 Ithican
06 Braddock
07 The Crook And The Flail
08 Cloud Chaser
09 Elevator Karma
IN BREVE: 3,5/5