Non so voi, ma io la colonna sonora della fine del mondo me l’immagino come uno stridere infinito di chitarre ed echi dolcissimi in sottofondo. Shoegaze? Forse, ma intendo qualcosa di più cupo e definitivo (nel senso di finalistico). Allora doom? Sì, anche, ma echi dolcissimi lì non ce ne stanno affatto. Post rock? È chiaro, qui parliamo di soundtrack per definizione, ma manca ancora qualcosa. E quel qualcosa lo si trova in Dissolution Wave, ultimo lavoro degli americani Cloakroom che risponde esattamente alla descrizione che cerco. E lo fa perché mette insieme un po’ di tutti gli spunti che abbiamo tirato in ballo, condendoli con una buona dose di richiami pescati qua e là tra i maestri dei generi di riferimento.
Nulla di nuovo sotto il sole, ovviamente, il terzo lavoro in studio dei Cloakroom è − come del resto la loro passata produzione, ferma fino ad ora a “Time Well” del 2017 − ampiamente derivativo, ma se c’è una cosa complicatissima da fare, oggi, per chi fa musica è sicuramente prendere spunto, seguire scie, muoversi a cavallo dei generi, senza risultare parodistici. Doyle Martin e soci ci riescono ancora una volta, perché il mischione che propongono è imprevedibile all’interno della tracklist del disco ma anche di ogni singola traccia, un’unica infinita onda che muta continuamente il suo impulso.
È un viaggio nello spazio dopo un’atomica quello di “Dissolution Wave”, lo è quando l’esplosione avviene nell’iniziale Lost Meaning, unico momento davvero muscolare del disco nonché il più in linea con le bisettrici di cinque anni fa. Ma lo è anche nel post rock d’ispirazione mogwaiana di Dottie-back Thrush, nei rimandi sabbathiani di Fear Of Being Fixed e della conclusiva Dissembler, in A Force At Play, nel beccheggio della title track e in Lambspring che girano prepotentemente intorno a degli Slowdive d’annata e pure in Doubts, che guarda persino a uno slowcore più narcolettico, giusto per non farsi mancare nessuna delle sfumature che intercorrono tra veglia, sogno e incubo.
Chiaramente il rovescio della medaglia di tutto ciò è che “Dissolution Wave” non suona esattamente uniforme e monolitico come forse avrebbe potuto essere, ma in fondo poco importa perché non è quello che si chiede ai Cloakroom e più in generale al nuovo shoegaze, che negli ultimi anni è stato sempre più shakerato con elementi estremi. Gli si chiede un abbraccio scrosciante e sincero, che non ti prenda in giro con un “andrà tutto bene” che durante la fine del mondo suonerebbe a dir poco sfottente. E quello i Cloakroom ce l’hanno assicurato eccome, ancora una volta.
(2022, Relapse)
01 Lost Meaning
02 Dissolution Wave
03 A Force At Play
04 Dottie-back Thrush
05 Fear Of Being Fixed
06 Lambspring
07 Doubts
08 Dissembler
IN BREVE: 3,5/5