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Coldplay – Moon Music

È difficile parlare di un album come Moon Music e cercare di mantenere la calma, senza esplodere con un pippone letale sullo stato attuale della musica, senza risultare dei coglioni snob incapaci di afferrare un facilmente comprensibile Zeitgeist. Non c’è nemmeno bisogno di scomodare differenze generazionali, ché i Coldplay sono in giro da almeno venticinque anni. Ma ascoltando One World, traccia conclusiva dell’album scritta con Brian Eno, e poi We Pray, singolone dove hanno reclutato nientemeno che Little Simz, fuoriclasse della scena hip hop inglese, con un beat molto moderno e un riff di archi (?), non si può fare a meno di chiedersi a chi diavolo sia rivolta ‘sta roba.

Se la risposta a questa domanda per voi non è retorica, non avete afferrato il fenomeno Coldplay, un fenomeno che con l’ultimo tour (“Music Of The Spheres World Tour”) ha avuto oltre nove milioni e mezzo di spettatori e un incasso – solo dal box office, senza contare marketing ed indotto – di più di un miliardo di dollari, con record di ogni tipo in ogni strafottuto posto siano andati. Parliamo di musica? Sicuri che serva? Ma a parlare di musica non sono neanche loro stessi. Chris L’Amabile e i suoi benevolenti compagni non hanno rilasciato che due interviste per promuovere “Moon Music”: una a Zane Lowe per Apple Music – dove si parla in maniera dettagliata del tour – e un’altra all’istituzione decaduta NME (ammettiamolo, estremamente dettagliata e interessante, seppure un filo paternalista).

Parliamo di musica? “Moon Music” sembra la colonna sonora di un futuro distopico in stile “Demolition Man”, nel quale il magnanimo leader del mondo mantiene la pace ma è evidente che dietro la facciata di tranquillità si nascondano oscuri segreti; un’accozzaglia di testi con rime alternate da poesia sulla pace in terza media su una base semi ambient, ma con una spruzzata di piano pop, realizzata in maniera estremamente competente ma estremamente inetta allo stesso tempo, quasi ignara di tutto ciò che rende la musica quello che è ed è sempre stata, bella o brutta che sia.

Agli esordi erano degli enfant prodige pronti a prendere il posto della band (molto) pop rock intelligente che i Radiohead avevano lasciato vacante dopo “The Bends”. Persino prima che uscisse “Parachutes” (2000) erano già un nome, qualcuno che sapevi sarebbe stato in giro per molto tempo. Non fai “Don’t Panic” per coincidenza, non ti prendi il mondo per caso. Ma non ha più importanza. Martin non parla più come se volesse diventare Thom Yorke, parla come il figlio illegittimo di John Lennon e Ghandi. E infatti lo spettatore medio, uno dei nove milioni e mezzo, non ascolterà “Moon Music”. Nella migliore delle ipotesi, qualcuno dei brani estratti. E se lo metteste sotto una lampada da interrogatorio, scopriresti che “sono la mia band del cuore” si traduce in “conosco quasi quindici canzoni, e mi piacciono tutte! Non sono in grado di scrivere correttamente nessuno dei titoli degli album, neanche quelli che per combinazione si trovano in casa mia in formato fisico”. Non è necessario. I Coldplay hanno smesso di essere musica forse con “Adventure Of A Lifetime”, singolo uscito nel 2015 (quattro album fa, per essere precisi) nel quale cercavano di canalizzare l’influenza dei primi U2 in qualcosa di moderno e radiofonico, in maniera peraltro molto ben riuscita.

I Coldplay, oggi, sono un evento, un happening continuo; hanno alcuni punti in comune con la Swift – che li ha soppiantati tra gli eventi più redditizi in quanto non si pone problemi di carbon footprint che sua magnanimità Chris Martin tiene molto in conto – ma allo stesso tempo hanno molte differenze. La blanda mediocrità e la totale mancanza di aggressività (in atti, fatti, testi di canzoni e spartiti musicali) della band inglese comporta un atteggiamento molto rilassato e gioioso (opposto a quello fieramente protettivo e a tratti cultista dell* Swifties), e l’evento, con una sorta di karaoke collettivo, coriandoli dal cielo, giochi di luce e quant’altro, si trasforma in una costosa ma estremamente festosa serata di gente che si abbraccia, canta, mentre San Christiano da Exeter e i suoi cardinali officiano il rito.

Sì, “Moon Music” è una roba inutile, come gli album che lo hanno recentemente preceduto. Ma, scrollandoci il cinismo di dosso, possiamo vedere come la benevola festa dei Coldplay sia un qualcosa che non fa male a nessuno (forse alle tasche di qualche genitore) e porta qualche ora di felicità in un mondo sempre più crudo, feroce, che si avvicina alla sua tragica fine senza remore. E questa, per quanto su “Moon Music” non ci torneremo forse mai più, non può che essere una cosa positiva. Che non ha nulla a che fare con la musica.

2024 | Parlophone

IN BREVE: 2/5

Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.

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